Coppa Regionale Boulder Sardegna

La Coppa Regionale Boulder Sarda 2014 è stata vinta da Filippo Manca e Maria Giovanna Veracchi.

La Sardegna, nota per la sua magnifica roccia, finalmente piano piano sta emergendo anche per quanto riguarda il movimento agonistico e la grande motivazione è data dalla voglia di poter far affacciare qualche giovane alle gare regionali e nazionali. Purtroppo la nostra regione è ferma da troppo tempo per quanto riguarda l organizzazione di competizioni, e
un forte impulso in tale direzione è stato dato anche da una sempre più interessante collaborazione con Enrico Baistrocchi, il quale grazie alla sua preziosa esperienza ci aiuta e ci stimola nell affermare questo movimento.

Grazie all’impegno della asd Ortoblock di Nuoro e alla V10 boulder zone di Cagliari quest’anno si è svolta la seconda edizione della Coppa Regionale Sarda con tre tappe: Cagliari il
2 febbraio, a Nuoro il 15 febbraio ed a Sassari il 6 aprile.

Al termine della Coppa risultavano vincitori : Filippo Manca della asd Ortoblock e Maria Giovanna Veracchi anch’essa della omonima società. La soddisfazione maggiore è stata data da un positivo riscontro da parte degli atleti numerosissimi in tutte e tre le tappe, a dimostrazione che la Sardegna nonostante l’insularita’ ha voglia di crescere ed è presente.

Un grazie a tutti, in particolare ai tracciatori Enrico Baistrocchi, Jacopo Larcher, Carlo Giuliberti, e a E9, sempre pronta a sostenere le nostre iniziative. Vi aspettiamo numerosi anche per il campionato regionale in tappa unica, che si terrà ad ottobre a Cagliari e verrà tracciato da un altro amico che non ha bisogno di presentazioni, Cristian Brenna

Filippo Manca

CAGLIARI 2 febbraio 2014
Maschile

1 Filippo Manca
2 Angelo Manca
3 Massimiliano Spiga
4 Michele Onida
5 Davide Pagano
6 Giorgio Sedda

Femminile
1 Maria Giovanna Veracchi
2 Daniela Montesu
3 Francesca Berardo
4 Francesca Crobu
4 Alessandra Floris
6 Manuela Flore
6 Fiorella Serra
8 Francesca Zedda

NUORO 15 febbraio 2014
Maschile
1 Angelo Manca
2 Leonardo Casini
3 Filippo Manca
4 Michele Onida
5 Andrea Vacca
6 Giorgio Sedda

Femminile
1 Maria Giovanna Veracchi
2 Francesca Zedda
3 Alessandra Floris
4 Francesca Berardo
5 Manuela Flore
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6 Francesca Crobu
7 Annalisa Sanna

Sonic the Hedgehog movie has a release date

Sega’s upcoming Sonic the Hedgehog movie now has a release date: 15th November 2019.

It’s a year later than expected – a vague “2018” date was whispered when the Paramount project originally got greenlit, back in February 2016.

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But work on the film is now underway, Hollywood Reporter writes. There’s a director and writer (no one you’ll have heard of), while Deadpool director Tim Miller is executive producing.

As expected, the Sonic film will be a mix of CGI and live-action – so presumably Sonic will be running around the real world. Plot details are being kept under wraps for the time being, but here’s hoping we get a bit of Big the Cat.

Sonic nemesis Mario is getting his own Nintendo-backed movie, of course – although it looks like Sonic will go fast and beat Mario to release.

It’s a busy time for Sega’s hedgehog. After a couple of new games last year, Sonic is widely expected to be back soon in another Sonic Racing game, which is now all but official.

Un giorno lungo 50 Anni: Alberto Sciamplicotti tra film, alpinismo e… la seduzione dell’avventura

Alberto Sciamplicotti, la sua avventura, i suoi racconti e il suo nuovo film “Un giorno lungo 50 Anni” dedicato a due grandi alpinisti, Gigi Mario e Fernando di Filippo, e all’apertura di due vie nello stesso giorno sul Gran Sasso d’Italia. Di Simonetta Radice.

Alberto Sciamplicotti, fotografo scientifico professionista e appassionato sciatore, vive a Roma, non vicinissimo alla montagna. Ma le terre alte e l’avventura fanno parte di lui sin da quando, bambino, ascoltava le letture di suo padre – “Potevano essere fiabe, oppure i libri di Salgari, o ancora l’Isola del tesoro, la mia voglia di esplorare è nata così” – o si faceva affascinare dalle immagini di “Avventura”, un programma RAI degli anni 60 che riuscì a instillare “la voglia di andare più in là”, come direbbe Bonatti, a tanti ragazzi di quella generazione. L’abbiamo incontrato per parlare dell’ultimo film a cui ha lavorato, “Un Giorno Lungo 50 Anni”, dedicato all’incontro tra Gigi Mario e Fernando Di Filippo e, in particolare, all’apertura nel 1962 di due nuove vie d’arrampicata sul Gran Sasso d’Italia nello stesso giorno, vie che divennero presto banco di prova per moltissimi alpinisti, anche di generazioni successive.

“Il film racconta di due persone che hanno intrapreso due strade differenti per arrivare a un risultato simile” dice Sciamplicotti ” e cioè esprimere una maniera di andare in montagna che corrisponde al loro essere”. Maestro di sci, guida alpina e istruttore delle guide, Gigi Mario spinse perché lo sci entrasse a far parte del loro bagaglio di competenze. Gestì per un paio d’anni il rifugio Franchetti al Gran Sasso e poi partì per l’Oriente, da cui tornò nel 1973 con un nuovo nome, Engaku Taino, per aprire il casale-monastero dove tuttora vive, tra arrampicata e Thai-Chi, sulle colline di Orvieto. Fernando di Filippo si avvicinò invece alla roccia attorno ai vent’anni e la sua attività alpinistica fu sempre portata avanti come la naturale estensione della sua dilettantistica passione per la montagna, di cui non fece però professione. “Quello che mi ha colpito di questa storia è che racconta di due persone molto diverse per percorso personale ed esperienze vissute ma che, nonostante questo, sono riuscite a sviluppare un’empatia profonda con il mondo della montagna e con ciò che fanno. Con questo film, abbiamo cercato di trasmettere le emozioni di ciò che hanno vissuto a quei tempi.” E sicuramente di emozioni forti si tratta, se si pensa che i due aprirono la via “armati” solo di scarponi, pochi chiodi e corda in vita. Ma, come lo stesso Gigi Mario afferma, “Era un altro mondo allora, un modo differente di fare alpinismo e di salire le montagne.” Il film sarà proiettato in anteprima il 17 luglio a San Candido Adventure Outdoor Fest.

Alberto Sciamplicotti è anche un appassionato sciatore. Nel suo libro “I Vagabondi delle Nevi” (edito da Alpine Studio), racconta di spedizioni fatte ai quattro angoli del globo, insieme a un gruppo di amici fidati con cui si diverte a sperimentare l’antica tecnica del Telemark su rotte decisamente fuori dal comune, da Creta all’Iran, dai Pirenei al Karakorum fino alla Groenlandia, le Svalbard, l’Armenia, la Macedonia, il Kosovo, il Canada (i reportages di viaggio sul suo sito www.sciampli.it)

“Quando si parla di avventura credo che l’importante sia lo spirito con cui si affrontano i singoli eventi della vita: non è tanto l’impresa in sé o la ricerca a tutti i costi della difficoltà che conta” dice l’autore “E’ la mentalità con cui si affrontano i problemi di ogni giorno a fare la differenza e, alla fine, non servono grandi obiettivi ma la voglia di provare a raggiungere anche quelli piccoli, qualsiasi essi siano.” Non è un solitario Alberto Sciamplicotti: la dimensione conviviale di ogni viaggio ha per lui una grande importanza “Per come sono fatto, preferisco condividere le cose. Andare da solo ha senz’altro il vantaggio di potersi dedicare a una maggiore introspezione e di poter decidere tutto in prima persona, ma per quanto mi riguarda preferisco condividere le mie esperienze perché non voglio privarmi della grande possibilità di vedere il mondo con gli occhi delle persone con cui sono.” Il suo ultimo libro “La seduzione dell’avventura” (ediciclo editore) racconta alcune tra le più grandi epopee della storia moderna, che ebbero come protagonisti Ernest Shackleton e la lunga notte polare, Yuchiro Miura e il monte Everest con gli sci, Chris McCandless e l’Alaska selvaggia, Salomon August Andrée e il sogno di volare sopra il Polo Nord, solo per fare alcuni nomi.

“L’avventura, in fondo non è che un gioco a rimanere bambini” continua Alberto “per provare a coltivare quello stupore, quell’ingenuità e quella purezza che caratterizza i nostri primi anni di vita”. Il suo mito? Senza dubbio Ernest Shackleton, la cui vicenda “è l’emblema di un disastro assoluto… finito nel migliore dei modi! Quella di Shackleton fu un’avventura unica, nonché un perfetto esempio di condivisione e di leadership, vista l’importanza che ebbero sempre per lui i suoi compagni di viaggio. Sicuramente si trattò di un grande avventura con la A maiuscola: dai ghiacci, al mare, alle montagne, una storia incredibile durata due anni a cui ancora oggi tutti guardiamo.”

di
Simonetta Radice

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Due vie d’arrampicata in Val Mora

La bellissima Val Mora, al confine tra alta Valtellina ed Engadina, e il racconto di Martino Quintavalla dell’apertura di due delle sue vie d’arrampicata: Gli svizzeri di qua e Mutandenbaum.

La prima volta che mia sorella Margerita ed io andammo in Val Mora fu nel 2006 per una gita in mountain bike con la nostra famiglia. Trovandoci in un luogo così bello non potemmo fare a meno di guardarci intorno alla ricerca di nuove pareti. Avevamo 14 e 18 anni ed eravamo presi dalla febbre dell’arrampicata in seguito a un periodo di continue scalate e qualche apertura, soprattutto sulle pareti intorno a casa nostra. Sapevamo che in quella bellissima valle a cavallo tra alta Valtellina ed Engadina era già stata aperta una via da Paolo Vitali e Sonja Brambati poco tempo prima e che, molto probabilmente, la migliore roccia era già stata individuata. Proprio per questo, fummo molto sorpresi quando vedemmo una parete di calcare grigio compattissimo, apparentemente intatta.

Qualche giorno dopo colti dall’entusiasmo partimmo in bicicletta alla volta della parete, armati di tutto punto e piegati dal peso degli zaini e, individuata una possibile traccia, cominciammo uno di quegli interminabili avvicinamenti tra indomabili pini mughi e ghiaioni scivolosi che chi ha scalato da queste parti ben conosce. Giunti alla base Margherita era stremata. Era ancora presto e l’aria era gelida. Il sole non sarebbe arrivato che nel pomeriggio sulla parete esposta a nord-ovest. Ci ristorammo alla meno peggio mangiando le solite barrette ai cereali che in quei momenti sembrano una manna dal cielo mentre a casa fanno venire la nausea e, trovato quello che sembrava un buon punto di attacco, cominciammo la salita. In tutta la giornata riuscimmo a completare solo i primi due tiri che portano fino a una bellissima cengia alberata. La parete sopra di noi si ergeva in tutta la sua bellezza: rigole, buchetti, concrezioni… non ci sembrava vero di aver scoperto “La Roccia” in un posto altrimenti rinomato per le sue pareti di calcare marcio e pericoloso! Troppo stanchi per continuare, ci calammo e tornammo a casa felici perché la parte più bella della parete era lì ad attenderci.

Dopo una settimana di pioggia tornammo e aprimmo lo zaino che avevamo lasciato nascosto in una grotta. Ridemmo del nostro stesso disgusto per la corda che, da gialla, era diventata verde e puzzava di muffa in modo insopportabile (in seguito si sarebbe seccata e irrigidita come una statica), ma dopo qualche attimo all’aria ci fu possibile riprenderla in mano e tornare a scalare. Quel giorno riuscimmo a finire la via con due tiri mozzafiato. Roccia stupenda, arrampicata in placca appoggiata e chiodatura vertiginosa. Nonché un gran freddo, soprattutto per Marghe che mi assicurava pazientemente mentre lottavo sull’ultimo tiro tirando su trapano e batterie.

Dicemmo subito a tutti gli scalatori che conoscevamo che avevamo aperto quella che forse era una delle vie più belle della zona, “è come in Wenden” dicevamo, anche se in Wenden in verità non eravamo mai stati. Battezzammo la via: “gli svizzeri di quà”: un gioco di parole che ci faceva ridere, essendo proprio in Svizzera. Spero che nessuno si offenda per questo.

Tornai a ripetere la via con vari amici e ogni volta mi stupivo per aver messo gli spit così lontani, rendendo il grado della via veramente obbligatorio. Tuttavia sul concetto del “veramente obbligatorio” abbiamo sempre fondato la nostra etica. Quando si scala bene, si è pervasi da una bellissima sensazione: i pensieri corrono liberi mentre gli occhi scrutano la roccia e il corpo si muove da solo sapendo già dove andare. Gli spit però interrompono il movimento, e la corda ci rende schiavi di una traiettoria che è sempre verticale, ma l’arrampicata è ricerca e per cercare bisogna essere liberi di muoversi. Per questo gli spit lunghi che sono sempre tanto criticati.
Naturalmente scrivere è facile e arrampicare è una cosa diversa: sono rare infatti le volte in cui scalo come vorrei; altre volte invece, soprattutto quando la protezione è lontana, il cervello, invece di svuotarsi, si riempie di paure irrazionali che impediscono di salire con naturalezza, ma questa sensazione credo che l’abbiamo sperimentata tutti, maledicendo di conseguenza l’apritore.

Dopo la bellissima estate del 2006 abbiamo scalato sempre meno: scuola, università, impegni vari… ma il richiamo di quella parete è sempre rimasto forte, tanto che nell’estate del 2012 sono tornato lassù, questa volta reduce del Wenden, in compagnia di Cristian Martinelli, per aprire un’altra via. Anche questa volta lo stile è stato minimalista: solo gli spit necessari e protezioni veloci appena si può. Ne è nata un’altra bellissima via, un po’ più facile ma altrettanto ingaggiosa: Mutandenbaum. Solo per spiegare il nome non basterebbe una pagina.

Per qualcuno queste vie di quattro o cinque tiri di corda non saranno di sicuro uno stimolo sufficiente per doversi sorbire un avvicinamento così lungo (30 min in macchina da Bormio + 1h in bici/a piedi) ma se qualcuno venisse in estate per godersi le montagne o le acque termali e volesse provare a salire lassù di sicuro non rimarrà deluso!

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SCHEDA: Gli svizzeri di qua, Val Mora

SCHEDA: Mutandenbaum, Val Mora

Relazioni su:
www.paolo-sonja.net
Valtellina, Valchiavenna, Engadina: Falesie e vie sportive (Versante Sud)
UP-Climbing 2012

Arrampicata sportiva, tre ori per l’Italia in Coppa Europa Giovanile

Si è svolta a Imst, Austria, la prima tappa della Coppa Europa Giovanile Speed. Alessandro Santoni, Ludovico Fossali e Giulia Fossali hanno vinto le loro rispettive categorie. La giovane nazionale ha colto l’occasione anche per ricordare Tito Traversa, il giovanissimo climber venuto a mancare un anno fa.

Italia grande protagonista della prima prova di Coppa Europa Giovanile Speed: a Imst, in Austria, gli Azzurri sono risultati primi nel medagliere, grazie a tre ori conquistati da Alessandro Santoni (categoria Juniors – Under 20), Ludovico Fossali (Youth A – Under 18) e Giulia Fossali (Youth B – Under 16), ai quali vanno aggiunti i bronzi messi al collo da Tommaso Pasqua fra gli Juniors e Paolo Martignene nella categoria Youth B. Un bottino ragguardevole che conferma tutto il potenziale di questo gruppo (il più numeroso ieri) in forte crescita: 16 partecipanti, 10 finalisti e 5 medaglie.

Dei cinque Azzurri medagliati, quattro erano tutti saliti sul podio degli Europei tre settimane fa a Edimburgo, quando Santoni e Martignene furono secondi nelle rispettive categorie, Ludovico Fossali terzo così come la sorella Giulia. Stavolta il bottino è stato ancor più prezioso: il trentino di Dro Alessandro Santoni in finale ha avuto la meglio del forte francese Nambot, autore di due false partenze, mentre il modenese Ludovico Fossali, che ha sempre ben controllato le gare senza commettere alcun errore, ha battuto in finale l’austriaco Erber. Giulia Fossali invece ha superato la concorrenza delle atlete russe puntando sulla regolarità delle salite. Per quanto riguarda i due bronzi, il torinese Pasqua, alla sua prima partecipazione in Coppa Europa, ha battuto nella finale 3°-4° posto il polacco Denis, mentre l’aostano Martignene ha preceduto il francese Rebreyend realizzando peraltro, nell’occasione, il miglior tempo assoluto della sua categoria, 8”54. Nel complesso, anche chi non è riuscito a centrare la finale ha comunque fatto notare ottimi miglioramenti sul piano personale.

Risultati che arrivano proprio nel giorno (ieri) in cui ricorreva l’anniversario della tragica scomparsa di Tito Claudio Traversa, giovane climber venuto a mancare un anno fa a soli 12 anni: una ricorrenza che gli Azzurri volevano onorare al meglio e proprio per questo hanno dedicato le medaglie conquistate alla sua memoria.

Il prossimo appuntamento, per la Nazionale Giovanile, è quello di mercoledì (9 luglio) a Chamonix, in Francia, dove andrà in scena la seconda prova di questa Coppa Europa Giovanile Speed.

I risultati degli Azzurri
Classifiche maschili:

Youth B (U16): 3 Paolo Martignene, 5 Giacomo Ingrami, 6 Gianluca Zodda, 7 Gabriele Randi
Youth A (U18): 1 Ludovico Fossali, 8 Alessio Voghera, 9 Luca Camanni
Juniors (U20): 1 Alessandro Santoni, 3 Tommaso Pasqua

Classifiche femminili:
Youth B (U16): 1 Giulia Fossali, 5 Silvia Porta
Youth A (U18): 9 Giorgia Randi, 10 Martina Giorello, 11 Erika Mattioli, 14 Ginevra Casellato
Juniors (U20): 6 Teresa Gallucci

PARACLIMB
Oltre alla Coppa Europa Giovanile Speed, a Imst è andato di scene anche il Paraclimb, nel quale l’Italia s’è fatta onore conquistando tre medaglie: oro per Maria Ligorio e Alessio Cornamusini, mentre Alessia Refolo ha fatto sua una preziosa medaglia d’argento.

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Pitturina Ski Race live – Coppa del Mondo di Scialpinismo 2014

Diretta streaming dal Val Comelico (Dolomiti) del Pitturina Ski Race, la terza tappa della Scarpa ISMF Ski Mountaineering World Cup 2014, la Coppa del Mondo di scialpinismo.

Dopo il rinvio causato dalle avverse condizioni meteo, oggi in Val Comelico (Dolomiti) è finalmente in programma la terza tappa della Scarpa ISMF Ski Mountaineering World Cup 2014. Attualmente è in corso la prova Sprint sulle nevi di Sappada e dopo le qualificazioni, alle ore 11 ci saranno le finali. L’Individual Race partirà invece alle ore 9 di sabato.
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Grande attenzione ovviamente alla imbattibile francese Laetitia Roux (vincitrice di entrambe le prove Vertical Race e Individual Race nella tappa precedente di Courchevel) ma anche agli azzurri Damiano Lenzi e Robert Antonioli, vincitori in Francia la settimana scorsa rispettivamente della Vertical Race e Individual Race.

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Duemilaquattordici. Il nuovo e l’arrampicata

Una riflessione di Andrea Tosi sul senso del nuovo in arrampicata che propone anche una visione su ciò che è stato e su ciò che potrebbe essere in futuro.

A leggere le testate web che parlano di montagna, la parola più ricorrente è “nuovo” o ben che vada la sua versione femminile: “nuova”. Cinicamente parlando trovo il tutto un vecchio retaggio culturale che in tempi non lontani portava a stendere lenzuola dopo la prima notte di nozze… Essere i primi…

Parlando di arrampicata il 2013 è finito male, il tema “sicurezza” è tornato fortemente alla ribalta con tutta la drammaticità del caso. I velati tentativi di proporre in modo “soft” il “come-si-assicura-il-compagno-di-cordata” non sembra dare i risultati sperati. E mentre la dea bendata, che ci vuole bene, si aiuta anche con le mani per non vedere come si utilizzano i freni, noi continuiamo a imitarla, con la sola differenza che per non vedere mettiamo la testa sotto terra come farebbe uno struzzo. In questa spirale evolutiva che sta vivendo l’arrampicata, stiamo forse perdendo di vista il punto di origine e quindi il cardine del nostro sport, ovvero la ripetibilità dei gesti, la possibilità di migliorare provando e riprovando.

A mio modo di vedere due sono le strade da percorrere per arrivare a questo risultato. La prima è tornare al dolore potenziale che può vivere una cordata intesa come scalatore e assicuratore. Occorre tener ben presente i rischi fisici di chi viene assicurato male e i rischi psichici di chi assicura male. Non voglio puntare il dito sulla capacità di far “sicura”. No. Potrebbe accadere a chiunque di sbagliare. Si tratta di ridurre al minimo la percentuale di errore, attraverso procedure ben oliate nell’assicurare correttamente, (esistono a riguardo precise indicazioni delle case costruttrici di freni, quasi sempre ignorate) e aver presente che in certi contesti particolarmente “sportivi” è meglio controllare la voglia di star attenti per 5 minuti piuttosto che lo stato di “ghisa” dell’avambraccio. Sarebbe lunga la discussione e forse lo sarà, torneremo sul tema con più materiale (anche video) ma le statistiche degli incidenti indoor parlano chiaro.

La seconda strada è mettere in sicurezza tutto l’esistente, questa mania di mettere al mondo “nuove vie”, “nuove aree”, sta rendendo orfani tanti siti d’ arrampicata. E’ un continuo sfornare figli, ma poi… chi li cresce? Fosse altrove (leggi Africa) forse se ne occuperebbe la comunità, ma qui, da noi, questo concetto non c’è, e si vede. Le vie hanno un aspettativa di vita più lunga dei loro chiodatori e se non si provvede ad alimentare di attenzioni una falesia… beh la natura torna a riprendersi gli appigli prima e gli ancoraggi poi. E’ solo questione di tempo.

Un segnale positivo, è comunque arrivato. Non ha fatto notizia perché  non poteva essere “bollato” con la parola magica “nuovo”, e invece doveva essere” La Notizia” più dell’apertura di nuovi itinerari… Parlo di richiodatura, di sostituzione di un tassello particolarmente marcio, e di tanti altri che avevano intrapreso la stessa strada verso l’inaffidabilità. La via in oggetto è la classica di Castel Presina :”Baby Doc”, gli autori del gesto sono Andrea Simonini e Giacomo Duzzi che, oltre a sfornare nuove vie, hanno il buon senso di porre rimedio a quello che magari in tanti hanno visto, ma che nessuno si è preso la briga di sistemare.

Credo sia giunta l’ ora di smettere di osannare il nuovo, un gesto come questo, come la richiodatura di vecchi siti o vecchie vie, è un avanzamento verso uno sport più maturo. Salvaguardare il vecchio, rende più valore al nuovo, toglie quel vago sapore consumistico che tante volte marchia l’ apertura di nuove vie, che di nuovo non hanno niente e di cui, spesso, non se ne sente il bisogno. Il “nuovo” per essere tale, deve portare veramente dentro una novità, altrimenti diventa possedere/marchiare la roccia, che prima o poi è destinata a finire. I tempi sono maturi per valutare quanto valga la pena pigiare sulla acceleratore delle nuove aperture.

Inizialmente si chiodava per estetica o per aggiungere un qualcosa alla difficoltà, oggi aggiungere al 9b+ è affare arduo e decisamente elitario, val la pena pensare quindi a cosa si sta realmente aggiungendo mentre si farcisce di tiri una falesia come fosse un bignè o aprendo nuove aree che niente aggiungono ai numerosi tiri esistenti. Ben che vada, la sola cosa evidente è l’incuria a cui andranno incontro i siti meno recenti.

La frequentazione delle grandi classiche espone a rischi potenziali tanti scalatori che arrivando da lontano e non hanno modo di conoscere lo stato della via. Arrivano magari consultando i siti in gran voga, dove vien facile reperire informazioni sulla “performabilità” di questo o quel tiro, e quando arrivano spesso non hanno la cultura per valutare lo stato di manutenzione degli ancoraggi… tant’è le vie diventano classiche per motivi a volte oscuri, un tassello si ossida per motivi molto evidenti.

Iniziano ad essere tanti gli ancoraggi che “saltano” sollecitati in fase di schiodatura, e qualche effetto sulla psiche… lo fa. Per non commettere l’errore fatto nel campo utilizzo freni, voglio espressamente fare terrorismo, per vedere se sparando in aria qualcuno prende paura e inizia a pensare che forse… può capitare anche a lui, che vale la pena diventare coscienti, che non ti salva lo scalare solo nei week end.

Oggi ho sicuramente torto, ma il tempo è dalla mia parte, si tratta solo di anticipare gli effetti nefasti che la distrazione potrebbe avere sui nostri corpi o sulla nostra mente. Detto questo, buon 2014, ma per favore, non parliamo di “nuovo” anno, teniamo a mente da dove arriviamo e cerchiamo di fare in modo che il “passato” non torni a farci del male, fisico o psichico.

Andrea Tosi

http://kingboulderblog.blogspot.it
www.kingrock.it

Semina del tassello from Mountain View on Vimeo.

The developer of Eve Online is making a new action MMO

CCP, the developer of Eve Online, is making a new action MMO.

The company’s London-based team is behind the unannounced action MMO (the main developer of Eve Online is based in Reykjavik in Iceland).

CCP mentioned the game as part of an announcement it is using Unreal Engine 4 for all of its currently unannounced projects. But that’s all we know for now – we don’t know which platforms this action MMO is for or when it’s due out.

It’s a busy time for CCP. Not only does it have ongoing development of Eve Online to contend with, it’s building an Eve Online-inspired multiplayer shooter called Project Nova, a mobile game called Eve: War of Ascension and now this unannounced action MMO.

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Tor des Géants, un viaggio tra competizione, festa e montagne. Di Linda Cottino

Dopo la vittoria del valdostano Franco Collé seguito da Nichademus Hollon (Usa), Antoine Guillon e Christophe Le-Saux (Fra), questa notte ha tagliato il traguardo dopo 85h53′ (nuovo record femminile della corsa) anche la prima donna, la francese Emilie Lecomte, seguita dalla padovana Lisa Barzani in 94h43′. Il traguardo di Courmayeur si chiuderà sabato prossimo, intanto gli arrivi si susseguono. Ed è già tempo di qualche riflessione su questo gran tour della Valle d’Aosta. Il report e le impressioni di Linda Cottino

«Mi sentivo male, ho corso addirittura con 40 di febbre, ma la gente mi diceva: dai Franco, forza, continua… E allora, potevo fermarmi? Dovevo andare avanti, per tutti loro!» Loro, sarebbero i suoi valdostani, e il senso del Tor può star racchiuso in questa frase, pronunciata da un Collé stranito, esausto, emozionato, sotto l’arco di arrivo del Tor des Géants 2014, dopo 332,3 km e 24 mila metri di dislivello percorsi senza praticamente mai dormire in 71 ore e 49 minuti. Ben oltre la performance del vincitore e degli atleti da podio o della top ten, è l’intera regione che scommette su questa gara dei giganti, facendone una delle bandiere del proprio territorio.

Sono infatti 2200 i volontari che per una settimana si mettono a disposizione di 770 atleti provenienti da 60 paesi di tutti i 5 continenti per i ristori, le basi vita, le registrazioni dei passaggi, sui passi di alta montagna, ai rifugi; gente della Valle, in tutti i suoi anfratti, che all’evento dà un tocco di festa, smorzando quella tensione atletica che invece sempre più permea le centinaia di verticalrace, skyrace, ultramarathon e trail organizzati in giro per il mondo.

Gli ultimi runner chiudono il cerchio il sabato, giorno conclusivo della gara, e per tutta la sua durata, in base ai cancelli orari, il territorio viene presidiato su una superficie di 150 km per volta. Un mondo alpino, altrimenti silenzioso e isolato, all’improvviso si ravviva di varia umanità. Questa doppia anima del Tor, un po’ competizione e un po’ festa, ad alcuni “puristi” fa storcere il naso; taluni lamentano la mancanza di veri atleti di punta: i Kilian Jornet della situazione, per intenderci, altri sentenziano sul regolamento che non viene fatto rispettare lasciando ampio margine di incertezza (e tenendo dunque lontani i top), ma soprattutto dando spazio alla “creatività” di chi si fa accompagnare lungo tratti di percorso, di chi dorme in camper o alberghi anziché nei luoghi deputati o, addirittura, di chi potrebbe essere tentato di accorciare il lungo tragitto.

La squalifica di Francesca Canepa, fatte le debite distinzioni e depurata dalle maldicenze, è significativa: lei sostiene di non aver trovato nessuno al posto di registrazione manuale e di aver tirato dritto, la direzione di gara ribatte che sono stati proprio i volontari addetti a quella registrazione a segnalare il mancato passaggio dell’atleta di Courmayeur. A fronte di questo problema alcuni pensano che sarebbe bene dotare i primi 50 corridori di gps. Insomma, a cinque anni dal debutto, la grande corsa valdostana deve precisare meglio il suo profilo e i suoi obiettivi.

«L’obiettivo iniziale era quello di promuovere la regione, e l’abbiamo senz’altro raggiunto» precisa Alessandra Nicoletti, direttrice di gara. «Su Google la Val d’Aosta compariva in sesta pagina, ora siamo in prima! Per quel che riguarda i problemi di regolamento, li abbiamo affrontati ogni anno con nuove soluzioni e pian piano li risolveremo».

La gara è comunque una grande festa per la stragrande maggioranza dei partecipanti, che per un’intera settimana si lanciano in un vero e proprio viaggio, del corpo certo, ma anche della mente; dove, nel confronto con la fatica, i dolori muscolari, il sonno, la notte sui sentieri, il caldo sui dislivelli più ripidi, il freddo dell’alta montagna, l’alimentazione, le vesciche… vengono assistiti, incoraggiati, accolti dalla gente della valle – proprio lei, il vero valore aggiunto di questo gigantesco evento sportivo, che in definitiva ha il pregio di mantenere per sé una libertà essenziale: far divertire chi partecipa.

Linda Cottino

info: www.tordesgeants.it

News Tor des Géants

Dejan Koren, tre nuove vie di ghiaccio e misto a Forcella Lavina

Sulla parete nord del Travnik in Valle Lavina (Laghi di Fusine, Tarvisio) lo sloveno Dejan Koren ha aperto tre nuove vie di ghiaccio e misto tra cui spicca la cascata di ghiaccio Mali Bogovi, dedicata a Urban Golob

Dejan Koren è stato attivo recentemente, non nel suo paese d’origine in Slovenia, ma appena oltre il confine italiano, nel Tarvisiano. Più precisamente a Forcella Lavina sopra i Laghi di Fusine dove, sulla parete nord del Travnik, ha aggiunto tre belle nuove linee che si affacciano su questa grandiosa valle.

L’idea gli era stata data anni fa da Luca Vuerich che purtroppo però non era riuscito a realizzarle. Così, il 24 gennaio scorso, Koren insieme a Tine Andreašič ha salito Spada di Damocle, la classica cascata di 250m IV/WI5 aperta nell’inverno del 1981 da Sergio Serra e Tullio Ferluga. Questa di per sé sarebbe già stata una grandiosa giornata, ma i due hanno continuato verso l’alto per effettuare la prima salita in libera della linea – tentata ed in parte spittata la settimana prima – del ramo che sale verso sinistra. Il risultato sono ulteriori 150m di arrampicata di misto gradati M8+, WI5+ e chiamati Čira čara. Con ancora un po’ di tempo a disposizione i due si sono calati su Spada di Damocle e poi hanno salito anche il ramo di destra, per aggiungere altri 170m di arrampicata di misto. Koren crede che questo prolungamento di M4+, WI4, 80° diventerà “in inverni come questo, una bellissima classica che sarà certamente molto ripetuto.”

Mentre gli sloveni affrontavano i due rami diagonali, erano comunque consapevoli che il ‘premio’ più grande era appeso direttamente sopra le loro teste, ovvero “un’enorme candela, posta quattrocento metri sopra il fondovalle, appesa al bordo del tetto, in attesa del suo principe…”

Mercoledì 4 marzo Koren è tornato ai Laghi di Fusine, questa volta insieme a Tine Vidmar e dopo aver salito un’altra volta Spada di Damocle, i due si sono lanciati dritti verso l’alto. Il risultato si chiama Mali Bogovi, che significa ‘Piccoli dei’, e viene gradato M10+, WI6, R, 170m. La via non ha spit e tutti i tiri sono stati saliti a-vista tranne il tiro chiave che è stato salito in libera al secondo tentativo.

Secondo Koren Mali Bogovi contiene tutto ciò che un alpinista potrebbe sognare: un vuoto impressionante, movimenti difficili, roccia bellissima e ghiaccio eccellente. Il 34enne sloveno ha dedicato quella che ritiene essere una delle sue più belle creazioni ad Urban Golob, il formidabile arrampicatore, alpinista, sciatore e giornalista sloveno recentemente scomparso per una malattia incurabile.


Travnik parete nord – Valle della Lavina

Čira čara, M8+, WI5+, 150m (+250m Spada di Damocle): Dejan Koren & Tine Andreašič (24/01/2015)
Damoklejev srp, M4+, WI4, do 80°, 170m, (+250m Spada di Damocle): Dejan Koren & Tine Andreašič (24/01/2015)
Mali Bogovi (Little Gods), M10+, WI6, R, 170m, (+250m Spada di Damocle): Dejan Koren & Tine Vidmar (04/03/2015)

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