Salento verticale, nuove vie d’arrampicata in Puglia

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Davide Schiantarelli presenta il risultato del lavoro svolto per il progetto Salento Verticale che, nella zona fra Ponte Ciolo e Santa Maria di Leuca, ha attrezzato nuovi itinerari di arrampicata.

Sono stati giorni di lavoro continuo sulle falesie Salentine che, finalmente, vedono luccicare i primi spit; molte le vie nuove, 2 i nuovi settori e ancora in cantiere la risistemazione delle splendide vie del Canyon del Ciolo, quasi ultimate.

Roccia, mare, sole, culture antiche, tradizioni radicate e persone incredibilmente attente alla novità. Il progetto Salento Verticale dopo la prima sessione di chiodatura ha finalmente portato nel Salento la possibilità di proporre l’arrampicata in modo sicuro e fruibile da tutti.

Un sentito ringraziamento all’ Amico Giovanni Ongaro e la sua francesissima compagna Stephanie Frigiere, al mio nuovo amore Cristiano Ticci e la mia rivale (solo in amore) Lisa Pellegrini, a Fabio Palma e Luca Passini dei Ragni di Lecco incredibili e impeccabili chiodatori, a Versante Sud e al loro preziosissimo progetto for Climbing “Book for Bolts”, a Elio Settembrini il Locals che con la sua competenza e infinita disponibilità rende tutto più facile a tutti, indispensabile figura del progetto, al Pandi ovvero Marco Pandocchi che a parte una sera (causa Negroamaro) è sempre stato inossidabile, agli amici e sostenitori di Tiggiano, semplicemente fantastici, grazie sindaco!

Settore Mannuta
Decisamente non per tutti, in un contesto di bellezza incredibile, a pochi metri da una gigantesca grotta la comoda base delle vie si erge a 50 metri sul mare. Roccia calcarea a buchi, splendide vele, uno strapiombo di 35 metri che sicuramente sarà apprezzato dai climbers “più forti”.

Esposizione: Est – in ombra dalle 11,30
Accesso: Partendo Da Ponte Ciolo in direzione S.M.Leuca parcheggiare sulla strada in prossimità del cartello Km 47. Al termine del muretto in pietra scende in direzione mare il sentiero ben visibile segnalato da bolli rossi. Il settore si trova, scendendo, seguendo il sentiero in direzione sinistra fino alla visibile grotta. Ultimo tratto del sentiero esposto sono state attrezzate corde fisse a spit. (10 min, dalla strada).
1. Turcinieddu – 20m – 7a+
2. Lu sule lu mare lu Jentu – 35m – 7b
3. Pizzi e Sineddhre – 35m – 7c
4. La Pietra del Sud – 32m – 8a (fine in comune con n°7)
5. Scapece – 20m – 7c+ (fine in comune con n°7)
6. La Mannuta – 25m – NL (variante di uscita di Due di Cuori)
7. Due di Cuori – 35m – 7c
8. Primitivo – 35m – 7b+/7c
9. Negroamaro – 25m – 7b
10. (Via da terminare)

Settore Anga della Mannuta
Bellissima parete verticale con tiri di 35 metri in continuità, calcare giallo rossastro a buconi e concrezioni nella prima metà delle vie, più tecnica a buchi e tacche nella seconda metà delle vie. Vista panoramica spettacolare a picco sul mare e comodissima base di partenza.

Esposizione: Est – in ombra dalle 11,30
Accesso: Partendo Da Ponte Ciolo in direzione S.M.Leuca parcheggiare sulla strada in prossimità del cartello Km 47. Al termine del muretto in pietra scende in direzione mare il sentiero ben visibile segnalato da bolli rossi. Il settore si trova, scendendo, seguendo il sentiero in direzione destra fino alla visibile parete verticale. (10 min, dalla strada).
1. En garde – 30m – 6a+
2. Beat – 30m – 6b+
3. Aglio selvaggio – 25m – 6c
4. Papuscia – 35m – 7a
5. Cuccuvascia – 35m – 6c+
6. Il cannone- 35m – 7b
7. Cicala – 35m – 6b
8. Tarantula- 25m – 6a

Canyon del Ciolo
Il settore del Ciolo si distingue, oltre che per la sua bellezza naturalistica e pesaggistica, per la comodità di accesso e la vicinanza alla spiaggetta del Ciolo. Vie di difficoltà varia con ampia scelta di gradi facili, roccia calcarea a buchi e tacche per vie tecniche a volte con partenze boulder.
Esposizione: Est – in ombra dalle 13.00
Accesso: Da Ponte Ciolo prendere il sentiero che scende alla spiaggetta e risalire il Canyon, subito visibile il settore del paretone. (5 min.)

Settore Paretone Superiore
Tutte le vie già esistenti sono state riattrezzate
1. Banzai – 6b (già esistente)
2. Gunny Boot – 6b+ (già esistente, sostituita sosta)
3. Deepwater – 5c+
4. Smirto – 5b
5. Settebello – 4b
6. Si Ally by Bridge – 5C (già esistente, richiodata)
7. Varattite – 6a (Via attrezzata grazie al contributo offerto da Ippazio Antonio Morciano di Tiggiano)
8. Sousprise – 6a+ (già esistente, richiodata)
9. Aspirin – 6a+ (già esistente, richiodata)
10. Alligator – 7a (già esistente)
11. Thai Garden – 6b+ (già esistente)
12. Panettone – 6a (già esistente, richiodata)
13. EmmAlex – 5c (Via attrezzata grazie al contributo offerto da Ippazio Antonio Morciano di Tiggiano)
14. Vota Antonio!!! – 5c
15. Senza Nome – 5b (già esistente, richiodata)
16. Davandi e Diedro (diretta) – 5c
17. Davandi e Diedro (variante boulder) – 5c+
18. ‘U Rizzu – 5b (Via attrezzata grazie al contributo offerto da Antonio Rizzu di Tiggiano)
19. ElioInox – 6a

Settore Paretone Inferiore
Dalla 10 alla 15 le soste e gli spit sono deteriorati e non sicuri, saranno riattrezzate dal Progetto Salento Verticale al più presto.
1. La Fessura – 25m – 6a (già esistente, richiodata)
2. First Meridian (Variante di partenza diretta della fessura) – 25m – 6b+ (già esistente, richiodata)
3. Swiss Gift – 25m – 6c+ (già esistente, richiodata)
4. Big Gim – 25m – 6a+
5. Dritto pé dritto – 25m – 6b+ (già esistente, richiodata)
6. 19:07, Zanzareee! – 30m – 7b+
7. Cannes – 25m – 7b ?? (già esistente, richiodata)
8. Via Latina – 30m – 6c (già esistente, richiodata)
9. FREEseddra – 30m – 6b
10. Senza Nome – 6a+
11. Antonio il Grande – 6c+
12. Fico Ninja – L1 5a+, L2 6a+
13. Aldente ma non troppo – L1 6a+, L2 6a+
14. Barbaha – L1 6a+, L2 6c
15. Roten Zolen – 6a/b

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La Guida Salento Verticale sarà disponibile dal 26 agosto 2013 durante il Salento Climbing Fest www.salentoclimbingfest.com

07/12/2012 – Ragni di Lecco per l’arrampicata nel Sud Italia

Arco Rock Legends 2013, i video della serata di premiazione

I tre video della serata di Arco Rock Legends 2013 del 6/09/2013. Protagonisti delle clip i Paraclimbers per il Climbing Ambassador by Aquafil. Mentre per il Salewa Rock Adward protagonisti sono Adam Ondra (il vincitore), Alexander Megos, Steve McClure e Chris Sharma. Per il La Sportiva Competition Award, invece, i protagonisti sono Mina Markovic (vincitrice), Angela Eiter e Jakob Schubert.

Il 6 settembre ad Arco nella speciale serata condotta da Kay Rush, sono stati consegnati i riconoscimenti dell’ottava edizione di Arco Rock Legends. Al Paraclimbing e a tutti i Paraclimbers è andato il prestigioso premio Climbing Ambassador by Aquafil con la seguente motivazione: “Agli atleti del Paraclimbing che con il loro coraggio, forza e passione, nella vita come nell’arrampicata e sulle pareti di gara, sono di esempio e stimolo per tutti.”

I 12 giurati delle riviste internazionale, invece, hanno assegnato il Salewa Rock Award ad Adam Ondra con la seguente motivazione: “Per l’immensa capacità di inventare sempre nuove sfide e di superarle, esaltando la bellezza e il senso dell’arrampicata.” In lizza c’erano anche Alexander Megos, Steve McClure e Chris Sharma, autori tutti e tre di prestazioni in falesia di assoluto livello. La stessa giuria ha assegnato il La Sportiva Competition Award per la stagione agonistica 2012 alla slovena Mina Markovic per “La forza, la tecnica, la sportività che esprime sia nelle competizioni Lead sia nel Boulder. Un grande esempio per tutto il movimento dello sport arrampicata.” In nominations c’erano anche gli austriaci Jakob Schubert e Angela Eiter.

I video della serata di premiazione
Concept Editing: Vinicio Stefanello (PlanetMountain – Mountain Network srl) / Francesco Mansutti (Studio Due).
Produzione: ASD Arrampicata Sportiva Arco.

Climbing Ambassador by Aquafil

Salewa Rock Award

La Sportiva Competition Award


Motivazione Climbing Ambassador by Aquafil 2013 – Paraclimbers

“Agli atleti del Paraclimbing che con il loro coraggio, forza e passione, nella vita come nell’arrampicata e sulle pareti di gara, sono di esempio e stimolo per tutti.”

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Salewa Rock Award 2013 – Adam Ondra

“Per l’immensa capacità di inventare sempre nuove sfide e di superarle, esaltando la bellezza e il senso dell’arrampicata.”

La Sportiva Competition Award 2013- Mina Markovic
“Per la forza, la tecnica, la sportività che esprime sia nelle competizioni Lead sia nel Boulder. Un grande esempio per tutto il movimento dello sport arrampicata.”

GIURIA 2013
Presidente:
Giorgio Balducci
Riviste internazionali: Desnivel (ESP), Gory (POL), Jamesak (SLO), Klettern (GER), Man and Mountain (KOR), Meridiani Montagne (ITA), Montagne 360° (ITA), Montana (CZE), RISK (RUS), Summit (GBR), UP Climbing (ITA), 8a.nu (Svezia).

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Rocca Sbarua, come preservare l’arrampicata e la storia nelle falesie

La presentazione della nuova cartoguida della falesia torinese di Rocca Sbarua (redatta da Maurizio Oviglia ed edita da Versante Sud) è stata l’occasione, al Rifugio Melano Casa Canada, per un breve dibattito su come preservare le vie classiche nelle palestre storiche dalla eccessiva chiodatura e su come gestire gli spazi d’arrampicata, ormai sempre più esigui… Di Maurizio Oviglia

La Rocca Sbarua, in questi giorni splendidamente vestita d’autunno, si avvia a divenire, insieme alla Valle dell’Orco, il centro di maggiore interesse del torinese tanto che l’Ente Turismo Torino e Provincia ha deciso di promuovere la cartoguida in modo da far conoscere questa storica palestra non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. La Rocca Sbarua non è infatti un luogo come tanti e, al pari della Valle dell’Orco, può contare oltre che sulla bellezza dell’arrampicata e un gran numero di vie presenti, anche sul fascino della storia, che indubbiamente attrae ancora moltissimi frequentatori, galvanizzati dall’idea di percorrere una via di Gervasutti o di Guido Rossa…

Un po’ di storia. Uno dei primi arrampicatori a frequentare le rocce della Sbarua fu senz’altro il pinerolese Ettore Ellena, arrampicatore eccezionale di cui possiamo trovare traccia nel visionario Spigolo Ellena, superato nel 1929, un passaggio di… boulder sprotetto alto 5 metri che valutò V grado. Un talento almeno pari a quello di Gabriele Boccalatte, che poco dopo superò la famosa placca della Vena di Quarzo. La Rocca diviene la palestra preferita dei vari Gervasutti, Rivero, Ravelli, Ronco e Zanetti. Giampiero Motti scrive: “Le loro vie, ancora oggi, sono modelli insuperati di logica ed eleganza” (1969, Guida a Rocca Sbarua). Ed è a questo riguardo senz’altro da ricordare la famosa via Gervasutti-Ronco (1937) la cui foto su 100 Nuovi Mattini divenne una delle tante icone, oppure lo Spigolo Bianciotto (1949), considerato il primo VI grado del Piemonte, si dice superato da Luigi Bianciotto in libera e senza un solo chiodo! A poco a poco, risolti i grandi problemi logici, subentra l’epoca dell’artificiale e alla Rocca si affacciano nuovi nomi: Mellano, Rabbi, Ribetti, Barbi e molti altri. Ma tra tutti certamente Guido Rossa, poi assassinato dalle Brigate Rosse, che risolve il problema delle yosemitiche Placche Gialle dove per la prima volta verranno usati i chiodi a espansione (1957). Siamo agli anni sessanta, dove vengono risolti gli ultimi problemi grazie alla nuova generazione facente capo a Giampiero Motti, Giancarlo Grassi e Ugo Manera ed al successivo vento del Nuovo Mattino, che qui soffiò sicuramente più tiepido che in Valle dell’Orco. I primi anni ottanta videro la libera di importanti itinerari ad opera di Marco Bernardi, mentre i primi itinerari sportivi sull’onda del free climbing furono opera dell’indimenticato Marco De Marchi. Gli anni novanta furono forieri di moltissime nuove aperture all’insegna dell’arrampicata plaisir e poche furono le vie che si discostarono da questi clichet, queste ultime essenzialmente ad opera di Mauro Vaio e Franco Rebola, vie che spesso vennero liberate dal fortissimo Donato Lella. Furono rinchiodate a spit quasi tutte le classiche (una delle poche eccezioni fu la Via Beuchod alla Torre del Bimbo) e fu saturato ogni spazio libero. In compenso la Rocca divenne frequentatissima in ogni stagione, anche in virtù delle sue belle vie storiche, rese accessibili da una chiodatura spesso generosa.

Ma proprio sulla gestione del patrimonio storico si concentra il dibattito a Rocca Sbarua. Alcune proposte di interventi di schiodatura hanno provocato feroci discussioni sui forum internet, rischiando di far precipitare la situazione in una guerra civile tra chiodatori e schiodatori come è già avvenuto in altri siti piemontesi, come ad esempio Cadarese. Senza voler soffiare sulla brace, vorrei limitarmi ad esporre alcune riflessioni emerse dall’incontro di venerdì sera nella bella atmosfera di Casa Canada. E’ un dato di fatto che le vie storiche di Rocca Sbarua, parlo delle vie degli anni Trenta sino ad arrivare a quelle degli anni Sessanta, sono state negli anni novanta non solo chiodate a spit in maniera sistematica, ma nella quasi totalità dei casi il tracciato originale è stato variato. E’ stato anche osservato, da alcuni partecipanti all’incontro, che al di là del fatto che la richiodatura avvenga a chiodi o spit, nelle vie classiche è il numero delle protezioni che alla fine fa la differenza e riduce drasticamente l’impegno, qualora vengano aggiunti “punti” in maniera importante. La via Gervasutti, ad esempio, è stato fatto notare che fu superata con 6 chiodi da Giusto ed oggi ne esistono ben di più, solo limitandoci alle protezioni fisse. E si tratta di una linea completamente di fessure! Da qui la proposta di “rivalutare” una decina di vie storiche, almeno una decina, riportandole all’impegno e al tracciato originario, che attenzione non vuol dire schiodarle ed eliminare del tutto gli spit per farne delle salite di clean climbing! Alcuni si sono dichiarati in disaccordo con questa proposta in quanto sarebbe difficile ritornare indietro e “togliere” ai ripetitori delle vie molto frequentate come la Gervasutti. I gestori del rifugio, infine, hanno osservato che la maggior parte dei frequentatori della Sbarua viene proprio per ripetere queste vie e modificarle equivarrebbe ad un sollevamento popolare…

Non è poi da sottovalutare la gestione dello spazio libero in palestre storiche come la Rocca Sbarua, ma in generale su tutte le pareti famose. Può far sorridere che si auspichi un “piano regolatore” anche per le falesie ma vedere belle strutture come le Placche Gialle ridotte ad un intreccio di vie, tanto che è ormai necessario colorare le placchette, fa come minimo riflettere. E’ giusto mettere uno stop, o almeno regolare, le nuove aperture? E poi fino a che si ha diritto di stravolgere un luogo con l’apertura di centinaia di vie, fatto salvo che va salvaguardata la libertà di ogni apritore di esprimersi come ritiene, anche nei luoghi “storici”? Sono alcuni interrogativi che sono emersi da questo incontro ma che sono, a ben vedere, all’ordine del giorno in tutti i grandi santuari della scalata, dalla Yosemite al Verdon, da Presles alla Marmolada.
Intanto la Sbarua del nuovo millennio si sta aprendo ad un pubblico “nuovo”, cercando di diversificare l’offerta. Non solo “vie plaisir” ma anche boulder e perché no, anche qualche via “trad” per il futuro. “Ma non c’è più spazio libero per tutto questo!” hanno osservato alcuni… Chissà, “mai dire mai” recita un vecchio adagio, che guarda caso è anche il nome di una delle vie della Rocca.

Maurizio Oviglia

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D’Artagnan, nuova via su Cerro Domo Blanco in Patagonia di Gladwin, Ladiges e Erdmann

Nel dicembre 2013 David Gladwin, Kim Ladiges e Ben Erdmann hanno aperto D’Artagnan (7a, C1, M6), sul pilastro Los tres Mosqueteros, Cerro Domo Blanco in Patagonia.

Un trio internazionale composto da David Gladwin dal Regno Unito, Kim Ladiges dalla Tasmania e Ben Erdmann dall’Alaska ha aperto una nuova via su un pilastro vergine da loro chiamato Los Tres Mosqueteros situato accanto al Cerro Domo Blanco nel massiccio Piergiorgio / Pollone in Patagonia.

Partendo da El Chalten, Gladwin e Ladiges hanno attraversato il ghiacciaio Marconi assieme a Kristoffer Szilas con l’idea di salire una via sulla parete nord del Cerro Domo Blanco che attualmente ospita soltanto una via, Son Of Jurel, aperta nel 2002 dagli statunitensi Jonathan Copp e Dylan Taylor. Durante l’avvicinamento però sono stati colpiti dal "pilastro vergine e senza nome" posto subito a destra della parete nord, e hanno quindi subito cambiato progetto. Nove lunghezze, descritte da Gladwin come "alcune delle più belle fessure che io abbia mai visto" li hanno portati ad un tiro finale di misto, dove però i tre sono stati costretti a tornare indietro visto che avevano con loro soltanto le scarpette da roccia. Due giorni più tardi, approfittando di un’inattesa finestra di bel tempo che coincideva con il loro ultimo giorno prima del rientro, Gladwin, Ladiges sono tornati senza Szilas ma con Ben Erdmann per il secondo tentativo e, affrontando difficoltà fino al 7a, C1, M6, sono arrivati in cima.

"L’arrampicata è stata sostenuta" spiega Gladwin "su fessure ad incastro di dita, seguite da alcuni diedri fino ad una cengia poco sotto la cima. Abbiamo fatto una sezione di artificiale C1 e sull’ 8° tiro un pendolo da una fessura ad un diedro, seguito poi da un fantastico tiro di misto, paragonabile ad un grado scozzese VI/VII o M6 e C1, ma pieno d’acqua. Due di noi sono arrivati in cima e poi, dopo aver tolto l’acqua dagli scarponi e strizzato i vestiti, siamo scesi, soffrendo e dicendo cose impronunciabili, dimenticando di fare anche le cose più semplici. Siamo rientrati al campo, molto sollevati, 19 ore dopo la partenza. "

"Abbiamo chiamato la cima Los Tres Mousqueteros, i tre moschettieri in spagnolo, visto che ci sono tre evidenti mini picchi in cima. La parete era già stata tentata dal argentino Fernando Irrazabal e gli spagnoli Eneko ed Iker Pou, ma erano tornati indietro a metà parete. Abbiamo chiamato la via D’Artagnan, come il quarto moschettiere, siccome il nostro primo tentativo era andato storto e poi il nostro compagno di cordata non poteva unirsi a noi per il secondo tentativo che poi è andato bene!"

Un ringraziamento a Montane e MBC per il loro sostegno

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Tragica valanga sull’Everest, numerose le vittime

Questa mattina all’alba una valanga sopra il Campo Base dell’Everest sul versante Nepalese della montagna ha travolto un numeroso gruppo di alpinisti. Almeno sei sherpa sono morti, molti i dispersi.

Inizia nel peggiore dei modi la stagione primaverile 2014 dell’Everest: questa mattina all’alba una terribile valanga ha travolto un numeroso gruppo di alpinisti. Il primo bilancio, ancora da confermare, parla di almeno sei sherpa morti, molti i dispersi.

Secondo le prime ricostruzioni, gli sherpa stavano preparando la via normale in vista dell’imminente periodo di alta stagione per le ascese alla vetta del mondo. La valanga si è abbattuta appena sotto al Campo 1 a circa 5.800 metri di quota alle 6.30 locali, le 2.45 in Italia. Numerose le squadre di soccorso già in zona.

A breve nuovi aggiornamenti di quella che si preannuncia, purtroppo, come una delle peggiori tragedie sull’Everest.

AGGIORNAMENTI
20/04/2014 – 23:25
Domenica 20 aprile 2014. Un’altra giornata difficile sull’Everest dopo la tragedia di venerdì, quando alle 6:30 circa si è staccata una porzione del seracco sopra l’Icefall causando la morte di almeno 13 Sherpa. Il bilancio potrebbe facilmente salire a 16, infatti nonostante tutti gli sforzi i 3 Sherpa dispersi non sono stati ritrovati e Channel 4 News ha riportato le parole di Lakpa Sherpa del Himalayan Rescue Operation che oggi dal Campo Base dell’Everest ha annunciato “Abbiamo interrotto le operazioni di soccorso. Non è possibile trovare i dispersi, vivi o morti.”

Proprio al Campo Base dell’Everest si sono vissuti, comprensibilmente, altri momenti intensi e molti alpinisti ed alcune intere spedizioni hanno deciso di lasciare la montagna del tutto. E’ di un’ore fa la notizia della cancellazione della spedizione più mediatica, quella di Joby Ogwyn, il cui tentativo di volare con la tuta aleare dal tetto del mondo sarebbe stato seguito live dal Discovery Channel. Non è chiaro in questo momento quanto questa scelta verrà condivisa dalle altre spedizioni – erano attesi 334 alpinisti da 41 paesi è 400 staff – ma l’idea di cancellare l’intera stagione primaverile su Everest sta prendendo sempre più piede. Lo conferma anche il giornalista inglese Ed Douglas che poche ore fa su Twitter ha scritto “Stagione dell’Everest in bilico. Ci saranno delle negozazioni molto tese nei prossimi giorni tra il governo Nepalese, gli Sherpa e le spedizioni.”

19/04/2014 – 23:02
Le operazioni di ricerca e soccorso sono continuate anche oggi per tutta la giornata: sabato 19 aprile, il primo giorno dopo il distacco del seracco, il bilancio ufficiale parla di 13 Sherpa morti. Dopo i 12 corpi recuperati ieri (e gli 8 feriti portati in ospedale a Lukla e Kathmandu), in mattinata è stato ritrovato il 13° corpo. Oltre 24 ore sono passate dalla sciagura e le autorità Nepalesi hanno escluso che i tre Sherpa dati ancora per dispersi possano essere vivi. Dipendra Paudel, del ministero del turismo nepalese, spiega “”La nostra speranza è di trovare i corpi adesso. Ma non possiamo confermare il bilancio ufficiale di 16 morti finché non li troviamo.” Nel frattempo The Times of India ha pubblicato la lista dei nomi dei 13 morti e dei 3 dispersi, mentre Alan Arnette, voce attiva e autorevole, conclude dicendo che “La maggior parte degli Sherpa ha lasciato Campo Base del Everest per portare il lutto nei loro paesi, la maggior parte ritornerà.”

19/04/2014 – 14:16
Per ricordare gli Sherpa morti su Everest il 18/04/2014 il American Alpine Club ha istituito il fondo Sherpa Support Fund per aiutare le famiglie delle vittime. Clicca qui per saperne di più.

19/04/2014 – 11:15
La nostra intervista a Simone Moro per cercare di capire meglio la tragedia

19/04/2014 – 11:10
Le ricerche e le operazioni di soccorso hanno ripreso questa mattina. Secondo Maddhu Sunan Burlakoti del ministero del turismo nepalese i soccoritori stanno lavorando a pieno regime prima che il tempo peggiori. Questa mattina è stata ricuperato il 13° corpo. Altri 3 Sherpa sono ancora dati per dispersi.

18/04/2014 – 23:10
E’ ormai notte fonda in Nepal, le operazioni di soccorso riprenderanno domani mattina. Ricordiamo che questo disastroso venerdì 18 aprile è iniziato con la terribile notizia del distacco di parte del seracco che pende sopra l’Icefall sulla spalla Ovest dell’Everest, che ha causato la morte di almeno 13 Sherpa. Altri 4 Sherpa sono attualmente dati per dispersi. Anche se il governo Nepalese non ha ancora ufficialmente rilasciato i nomi delle vittime, sul sito di Alan Arnette è pubblicato un primo elenco. Gli alpinisti bloccati sopra l’Icefall – si stima circa 100 – stanno bene e torneranno a Campo Base non appena il percorso sarà ripristinato.

18/04/2014 – 16:40
Secondo Alan Arnette, gli elicotteri hanno trasportato 12 corpi al Campo Base dell’Everest, mentre 1 corpo è stato avvistato ma non ancora ricuperato. I feriti sono stati portati a Lukla o Kathmandu.

18/04/2014 – 14:10
Sale il tragico bilancio delle vittime. Per ora sono almeno 13 i morti accertati + 3 dispersi. Una vera tragedia per l’alpinismo, per il Nepal e per i suoi Sherpa.

18/04/2014 – 11:30
Secondo la spedizione Peak Freaks circa 100 alpinisti sono bloccati appena sopra la valanga per la rottura di una delle scale indispensabili per attraversare i seracchi dell’Icefall. Si sta procedendo all’evacuazione con l’elicottero.

19/04/2014 – Valanga sull’ Everest: intervista a Simone Moro
Intervista a Simone Moro dopo la tragica valanga sull’Everest del 18 aprile 2014 ha causato la morte di almeno 13 Sherpa.

Corno di San Colombano, scialpinismo in Alta Valtellina

La Guida Alpina Eraldo Meraldi presenta lo scialpinismo al Corno di San Colombano, una classica salita invernale in Valdisotto, Alta Valtellina.

San Colombano era un monaco irlandese che con i suoi confratelli fece opera di evangelizzazione in epoca medioevale. Prima fondò diversi monasteri sulla terra francese, poi passando dall’Helvetia arrivò in Valtellina per essere in seguito accolto con benevolenza alla corte longobarda dalla regina cattolica Teodolinda. Colombo soggiornò un periodo nel castello di Domofole nei pressi di Traona in Valtellina, residenza estiva della regina, e così la sua fama arrivò anche in Alta Valtellina dove con la forza della fede i credenti edificarono a suo nome una chiesetta posta poco sopra il Forte d’Oga in località Tadè.

Durante il processo di cristianizzazione in epoca controriformistica avviato dalle istituzioni clericali, nell’anno 1665 la chiesa fu ricostruita sul colle posto a 2484m tra il Dosso Le Pone e il Pizzo Borron e fu per secoli meta di pellegrinaggio, soprattutto donne che salivano passando dalla sottostante fonte di San Carlo nota già anticamente per le sue proprietà medicamentose e di fertilità. La piccola e spoglia chiesetta che è anche nota per essere la più alta nel territorio Valtellinese, è sempre lì in balia delle intemperie un po’ solitaria anche per l’affievolirsi della devozione popolare.
Così anche il bel corno, che sovrasta quel punto come un altare, prese il nome del Santo, così come l’aspra valle che si addentra fin sotto le sue irte pendici finali.

Il Corno San Colombano è una bella piramide rocciosa che emerge lungo la cresta-dorsale che dal Dosso Le Pone (2556m) va verso sud incontrando prima il Pizzo Borron (2708m) e al termine il Monte Rinalpi (3012m); si trova all’incontro di tre creste (S,NE,NO) dominando da SO l’imponente conca di Bormio con le sue vallate circostanti. Il panorama a 360° che si ammira dalla vetta è unico ed indimenticabile come tutte le visioni che si possono avere dalla cima delle montagne; la stupenda vista “a portata di mano” sul versante settentrionale della Cima Piazzi è qualcosa di sublime, l’imponente montagna di fronte incute timore e reverenza e il maestoso ghiacciaio sospeso offre la stessa bellezza di massicci ben più noti. I vari itinerari scialpinistici sono molto belli e hanno una buona frequentazione sia per chi vuole avvicinarsi allo scialpinismo sia agli scialpinisti più esigenti; le discese assicurano sempre una neve ideale.

Non si ha notizia di chi per primo sia salito su questa cuspide, ma mi fa piacere immaginare che qualche piccolo pastore con uno spirito avventuroso, si sia spinto fin quassù lasciando incustodita la sua mandria per poter scoprire cosa si poteva veder oltre le montagne; vide altre e altre montagne oltre alla vastità dell’orizzonte, si rese conto maggiormente della grandezza e della bellezza del creato.

Quando scese aveva molta più luce negli occhi, non disse niente a casa, sarebbe stato ripreso e sgridato avendo lasciato il bestiame senza cura. Tenne per se questo immenso tesoro custodendo nella sua anima questo prezioso ricordo. Quando diventò più grande riprese la via dei monti e continuò a sognare rincorrendo le cime delle montagne mantenendo sempre la bella luce negli occhi come quando era un piccolo pastore. Scavando negli anfratti della memoria, aprì i suoi ricordi solo dopo tanti anni al piccolo nipote e sollevandolo in aria cercò di trasmettergli questa sua passione giovanile di guardare verso l’orizzonte per andare lontano. Dopo qualche giorno il bambino arrivò dal nonno con un disegno; tante e tante montagne dove sulla cima di una c’era un piccolo grande uomo immerso nell’aurora che osservava le stelle del mattino scomparire al sorgere del sole.

SCHEDA: Corno di San Colombano, Alta Valtellina

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No Siesta Spain trip, il film di Gabriele Moroni e Silvio Reffo in Spagna

Tutto il film No Siesta Spain trip che documenta il viaggio arrampicata di Silvio Reffo e Gabriele Moroni in Spagna.

45 minuti. Quanti bastano per un breve sonnellino nel primo pomeriggio. Oppure per guardare No Siesta Spain trip, il film di Silvio Reffo e Gabriele Moroni che documenta il loro viaggio di due in giro per Oliana, Margalef e Siurana. Un trip tra le falesie più belle della Spagna per spingersi al proprio limite ma, soprattutto, per divertirsi arrampicando.

14/03/2014 – Gabriele Moroni e Silvio Reffo e il loro No Siesta Spain Trip
Intervista a Gabriele Moroni e Silvio Reffo dopo il loro viaggio arrampicata tra le falesie spagnole di Oliana, Margalef, Siurana.

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In difesa dell’alpinismo, l’intervento di Bernard Amy al Convegno Nazionale del CAAI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento Bernard Amy del 26 ottobre 2013, in occasione del Convegno annuale del Club Alpino Accademico Italiano, durante il quale l’alpinista e scrittore francese è stato insignito della carica di Socio Onorario del CAAI.

Essere nominato membro ad honorem del CAAI è per me un onore, e al tempo stesso un piacere. So che l’ammissione a questo Club è riservata all’élite dell’alpinismo italiano, ed entrare in possesso della sua tessera è per me motivo di grande orgoglio. Chi mi conosce non sarà sorpreso che io desideri dirvi perché sento come un onore e un piacere l’essere ora parte di questo Club. Per meglio esprimermi, mi sia consentita una digressione sui problemi che l’attuale evoluzione dell’alpinismo ci pone.

In uno o due decenni, l’alpinismo si è molto evoluto sotto la spinta di vari fattori di ordine economico, tecnico e sociale. In particolare, abbiamo assistito ad una rapida diversificazione delle forme di alpinismo. Inoltre, sia nel modo classico che nei modi nuovi di avvicinarsi alla montagna, sono apparse nuove sensibilità culturali.

In questo periodo, anche la società in cui vive chi pratica attività sportive in montagna è profondamente mutata. In un ambiente con difficoltà sociali crescenti, si è sviluppata un’inquietudine che ha generato un desiderio di sicurezza, accompagnato da una ridiscussione dei comportamenti individualistici. L’ossessione per la sicurezza ha in particolare spinto all’eccesso l’applicazione crescente del “principio di precauzione”.

La constatazione di queste due evoluzioni, dell’alpinismo e della società, ci conduce oggi a dirci che bisogna ridefinire il contratto sociale che fino ad oggi, con qualche difficoltà, si era stabilito fra la società e gli alpinisti. Per questo si deve più che mai non tanto spiegare l’alpinismo quanto giustificarlo. Non si deve cercare di dire perché siamo pronti a rischiare la vita in montagna, perché “si entra” nell’alpinismo come in una religione (le motivazioni dell’alpinista sono del tutto personali, spesso richiederebbero considerazioni psicanalitiche, che poco interessano il grande pubblico e soprattutto non servono a giustificare l’alpinismo). Per fare accettare l’alpinismo in quanto pratica rischiosa, bisogna spiegare quello che la montagna ci dà, quello che ci insegna. Insomma, bisogna spiegare non perché andiamo in montagna, ma che cosa ci troviamo.

Quello che la montagna ci insegna costituisce qualche cosa che potremmo chiamare l’utilità sociale dell’alpinismo. È di ordine sia sociale che psicologico.

Fra gli apporti “utili” dello sport e della montagna si può citare:
– lo sviluppo delle capacità di impresa e di iniziativa
– l’insegnamento del coraggio di affrontare un rischio ragionato
– lo sviluppo della capacità di autonomia e di responsabilità
– l’apprendere i valori della solidarietà

A livello psicologico individuale, l’alpinismo sviluppa:
– la fiducia in se stessi
– la formazione della personalità
– il controllo dell’aggressività
– la capacità di socializzare
(Robert Paragot disse: “L’alpinismo mi ha formato. Senza la montagna sarei forse diventato una persona esecrabile”).

La montagna ha anche spesso un ruolo terapeutico, permettendoci di distaccarci dai problemi personali. Ci può dare maggior equilibrio, portandoci a ridimensionare le nostre difficoltà psicologiche (uno psichiatra alpinista chiamò il Monte Bianco “un day hospital”. E aggiunse: “meglio curarsi là in alto che nei bar!).

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Tutto questo, che l’alpinismo ci dà, è in gran parte dovuto a due processi psichici caratteristici dell’alpinismo:
– l’innalzamento fisico si accompagna sempre ad un innalzamento simbolico. Il giovane che, rivolgendosi verso valle, si vede più in alto degli altri, per un momento si sente più forte, più forte di quelli che sono là sotto e più forte di quello che era lui prima di lasciare la valle.
– L’assunzione collettiva di un rischio – in montagna o al ritorno in valle, l’alpinista è raramente solo – favorisce un riconoscimento sociale che non può che rinforzare il sentimento di forza e di fiducia in sé stesso (tutti gli alpinisti ricercano questo riconoscimento sociale: chi di noi è ritornato da una salita in montagna senza cercare di raccontarla?)

Questi due processi di affermazione della personalità sono importanti a qualsiasi età. Come tutte le passioni, la passione per la montagna si caratterizza per un dubbio permanente, per un continuo porsi la questione delle giustificazioni di quanto si fa. Si tratti di un giovane principiante o di un anziano esperto, si ha sempre bisogno di sentirsi forte. Per questo il riconoscimento sociale di gruppo resta essenziale.

Voi mi avete ora dato una tessera di membro onorario: grazie per questo riconoscimento sociale!

Aggiungerò soltanto, ricevendo con piacere questa tessera, che penso anche con piacere che ne stiate preparando altre per poi darle, non tanto a vecchi come me, ma ai giovani che oggi si preparano a fare le storia dell’alpinismo e che, con le loro realizzazioni, si mostreranno degni di essere fortificati nella loro passione.

Bernard Amy a Torino, CAAI 26 Ottobre 2013

Maxim Tomilov e Maria Tolokonina vincono la Ice Climbing World Cup 2014

Lo scorso weekend i russi Maxim Tomilov e Maria Tolokonina hanno vinto l’ultima tappa della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio svoltasi a Ufa, Russia aggiudicandosi così sia il Campionato Europeo sia la Ice Climbing World Cup 2014. Argento per Angelika Rainer e Park Heeyong, bronzo ad Alexey Tomilov e Shin WoonSeon. La Coppa del Mondo Speed è stata vinta da Nikolay Kuzovlev e Maryam Filippova.

Nella tappa conclusiva della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio, valevole anche come campionato Europeo, la vittoria è andata agli atleti di casa Maxim Tomilov e Maria Tolokonina, che si sono anche aggiudicati la vittoria in classifica generale. Angelika Rainer, quinta, ha conquistato un ottimo secondo posto in classifica generale che dopo una stagione ricca di successi anche al di fuori delle gare la ripaga degli sforzi fatti e dei duri allenamenti. “Sono veramente soddisfatta di questo podio in Coppa del Mondo” dice Angelika “dopo Helmcken Falls e le altre vie di misto non è stato facile mantenere la forma anche per le gare, ma ci sono riuscita, e per questo ringrazio gli amici che mi hanno sostenuto e la Grivel per l’ottima collaborazione.” Terzo gradino del podio alla fortissima Koreana Shin WoonSeon, nonostante il suo settimo posto in questa gara. La vittoria di tappa è andata alla russa Tolokonina, seguita delle compagne di squadra Filippova e Gallyamova.

La gara maschile è stata dominata dai due fratelli Tomilov, Maxim primo e Alexey secondo, terzo posto invece per il coreano Park Heeyong. In classifica generale Maxim si è aggiudicato la Coppa del Mondo mentre il fratello è salito al terzo posto; secondo il Koreano, che nulla ha potuto fare contro i due agguerriti avversari.

La gara Speed è stata vinta dalla russa Ekaterina Feoktistova e dal suo compagno di squadra Ivan Spitsyn; la classifica generale invece ha visto primeggiare Nikolay Kuzovlev e Maryam Filippova

Per la prima volta il circuito dell’Ice Climbing World Cup è sbarcato a Ufa, una città molto fredda circa 1500 km a est di Moska, ma qui ad aspettare gli atleti c’era una struttura particolare, non la consueta parete di Lead, ma una Boulder, completamente “total dry”, nonostante le temperature costantemente sotto zero. I tracciatori russi hanno creato quindi una serie di blocchi da risolvere, niente di esplosivo o di massimale come i Boulder che di solito si vedono in arrampicata sportiva, ma una serie di passaggi tecnici, molto particolari che si susseguivano, con vie che avevano anche più di venti prese. Purtroppo tale format non è stato ben digerito da nessuno al di fuori dei locals che invece hanno fatto piazza pulita degli avversari riempiendo totalmente i podi maschili e femminili, eccezione fatta per il terzo posto del Koreano Park.

Rendiamo merito a questi atleti russi ed alla loro federazione che investe molto in strutture e gare nazionali che sarebbero certamente apprezzati anche negli altri paesi Europei, se ci fossero. Purtroppo non è facile reperire risorse per costruire nuove strutture e creare squadre di atleti, anche giovani, basti pensare che le uniche due strutture adatte alle competizioni internazionale ed aperte anche al pubblico sono quelle di Rabenstein in Val Passiria e quella di Champagny in Francia, anche se purtroppo sono agibili solo per qualche settimana durante il periodo invernale. La speranza è che, come successo per l’arrampicata sportiva, il futuro dell’ice climbing sia più roseo e che ci siano sempre più ragazzi che iniziano questo sport alternandosi tra cascate e gare, così che un giorno qualcuno possa investire e creare sempre più strutture.

di Marco Servalli

2006 LEAD 1. Ines Papert, GER 1. Harald Berger, AUT 2. Anna Torretta, ITA 2. Simon Wandeler, SUI 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Markus Bendler, AUT SPEED 1.  Julia Oleynikova, RUS 1. Maxim Vlasov, RUS 2.  Natalia Kulikova, RUS 2. Urs Odermatt, SUI 3.  Maria Shabalina, RUS 3. Ygor Fayzullin, RUS 2007 LEAD 1. Jenny Lavarda, ITA 1. Evgeny Kryvosheytsev, UKR 2. Petra Müller, SUI 2. Markus Bendler, AUT 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED 1.  Maria Shabalina, RUS 1. Alexander Mateev, RUS 2.  Maria Murayeva, RUS 2. Nikolay Shved, RUS 3.  Maryam Filippova, RUS 3. Ygor Fayzullin, RUS 2008 LEAD 1. Jenny Lavarda, ITA 1. Simon Anthamatten, SUI 2. Petra Müller, SUI 2. Markus Bendler, AUT 3. Natalya Kulikova, RUS 3. Evgeny Kryvosheytsev, UKR SPEED 1.  Maria Tolokonina, RUS 1. Matevz Vukotic, SLO 2.  Ksenia Sdobnikova, RUS 2. Maxim Tomilov, RUS 3.  Maria Murayeva, RUS 3. Kirill Kolchegoshev, RUS 2009 LEAD 1. Maria Tolokonina, RUS 1. Markus Bendler, AUT 2. Angelika Rainer, ITA 2. Hee Yong Park, Korea 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED 1. Maria Tolokonina, RUS 1. Pavel Gulyaev, RUS 2. Maryam Filippova, RUS 2. Pavel Batushev, RUS 3. Julia Oleynikova, RUS 3. Nikolay Shved, RUS 2010 LEAD 1. Anna Gallyamova, RUS 1. Markus Bendler, AUT 2. Angelika Rainer, ITA 2. Park Hee Yong, Korea 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Maxim Tomilov, RUS SPEED 1. Nadezda Shubina, RUS 1. Pavel Gulyaev, RUS 2. Viktoria Shabalina, RUS 2. Pavel Batushev, RUS 3. Maryam Filippova, RUS 3. Igor Fayzullin, RUS 2011 LEAD 1. Anna Gallyamova, RUS 1. Park Hee Yong, KOR 2. Lucie Hrozova, CZE 2. Maxim Tomilov, RUS 3. Seon Shin Woon, KOR 3. Markus Bendler, AUT SPEED 1. Maria Tolokonina,  RUS 1. Pavel Batushev, RUS 2. Natalya Kulikova, RUS 2. Pavel Gulyaev, RUS 3. Irina Bagaeva, RUS 3. Maxim Tomilov, RUS 2012 LEAD 1. Angelika Rainer, ITA 1. Maxim Tomilov, RUS 2. Maria Tolokonina,  RUS 2. Alexey Tomilov, RUS 3. Anna Gallyamova, RUS 3. Park Hee Yong, Korea SPEED 1. Maryam Filippova, RUS 1. Kirill Kolchegoshev, RUS 2. Maria Krasavina, RUS 2. Alexey Tomilov, RUS 3. Maria Tolokonina,  RUS 3. Pavel Batushev, RUS 2013 LEAD   1. Maria Tolokonina, RUS 1. Park Hee Yong, KOR 2. Angelika Rainer, ITA 2. Maxim Tomilov, RUS 3. Seon Shin Woon, KOR 3. Valentyn Sypavin, UKR SPEED   1. Julia Oleynikova, RUS 1. Egor Trapeznikov, RUS 2. Maryam Filippova, RUS 2. Ivan Spitsyn, RUS 3. Ekaterina Feoktistova, RUS 3. Pavel Gulyaev, RUS 2014 LEAD   1. Maria Tolokonina, RUS 1. Maxim Tomilov, RUS 2. Angelika Rainer, ITA 2. Park Hee Yong, KOR 4. Seon Shin Woon, KOR 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED   1. Maryam Filippova, RUS 1. Nikolay Kuzovlev

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Cordillera Huayhuash, alpinismo in Perù per Tito Arosio, Saro Costa e Luca Vallata

A giugno tre giovani alpinisti Tito Arosio, Saro Costa e Luca Vallata si sono recati nel Cordillera Huayhuash in Perù dove hanno aperto “El malefico Sefkow, una nuova via che supera la parete ovest del Monte Quesillio (5600m). Inoltre, i tre hanno tentato anche le salite del Monte Tsacra Grande, Siula Grande e Huaraca. Il report del 27enne Tito Arosio.

Nel mese di giugno Luca Vallata (23), Saro Costa (25) ed io abbiamo effettuato un’attività alpinistica esplorativa nella Cordillera Huayhuash, in particolare nell’area sud del massiccio. La zona, la stessa del celebre libro “La morte sospesa”, presenta ancora un notevole potenziale di apertura di nuovi itinerari di arrampicata su ghiaccio e misto. Il campo base situato vicino al Lago Jurau è stato condiviso con altri due alpinisti: Carlo Cosi (26) e Davide Cassol (25).

Dopo un’iniziale fase di acclimatamento, Saro ed io abbiamo effettuato un tentativo sulla vergine parete est del Monte Tsacra Grande (5774m). Superata la goulotte, che caratterizzava la prima metà parete presentando tratti di misto (fino all’ M6) e ghiaccio (AI4+), il tentativo si è concluso purtroppo a 150m circa dalla vetta, a causa della classica neve andina che si presentava troppo inconsistente e pericolosa per superare i facili risalti poco sotto la vetta. La discesa è stata fatta velocemente in doppia lungo il percorso di salita.

Dopo qualche giorno di riposo abbiamo affrontato una nuova via assieme sulla parete ovest del Monte Quesillio (5600m). Anche in questo caso la parete era vergine. La via superata nel corso di due giorni presenta difficoltà di M5+ e AI5 A1 ED2 800m, ed è stata nominata “El malefico Sefkow”. Usciti sulla cresta, dove corre la via normale, non siamo saliti fino in vetta per la pericolosità della cresta dovuta ad enormi cornici. Siamo scesi lungo la normale sul versante ovest.

Dopo qualche giorno di brutto tempo tutti e tre siamo ripartiti alla volta del Siula Grande con l’idea di percorre la via “Noches de Juerga”, l’unica che sembrava in condizione di essere salita. Purtroppo lo stato poco ottimale della parete, sia per le elevate temperature che hanno sciolto tutta la neve sui pendii sia per i pericolosi crolli delle cornici sommitali, ha arrestato il nostro tentativo a quota 5700m circa.

Il giorno prima di smontare il campo base, abbiamo effettuato un tentativo veloce alla parete Ovest del Monte Huaraca arrestandosi a metà parete; la via si è rivelata molto più impegnativa del previsto e non avevamo né materiale sufficiente per fare arrampicata artificiale né il tempo, il giorno successivo infatti sarebbero arrivati gli arrieros con i muli per il trekking di ritorno. Anche questa, piccola ma molto verticale parete, è tuttora vergine.

Si ringrazia: Alpine Club, firstascent.co.uk, CAAI e Ferrino per il supporto a questa spedizione.
Luca Vallata ringrazia: S.C.A.R.P.A. Tito Arosio ringrazia: Grivel, Wild Climb e Grande Grimpe.
Ringraziamo inoltre Enrico Rosso, Franco “Cirk” Bertocchi per le informazioni. Ed infine un particolare grazie al nostro cuoco Pio Polo e agli arrieros Abner ed Omar.

di Tito Arosio, CAAI

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