Video arrampicata: Mélissa Le Nevé su Golden Ticket al Red River Gorge

Il video della climber francese Mélissa Le Nevé sulla via Golden Ticket a Red River Gorge, USA.

La salita risale a pochi giorni fa, ora è uscito il video: Mélissa Le Nevé sull’infinito 8c+ di Golden Ticket a Red River Gorge, USA.


Links:Instagram Mélissa Le Nevé,FB Mélissa Le Nevé,Petzl

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Maurizio Giordano perde la vita sul Gasherbrum IV

Il 32enne alpinista piemontese Maurizio Giordano del Centro Addestramento Alpino di Aosta ha perso la vita durante una spedizione sul Gasherbrum IV nel Karakorum, Pakistan.

Gravi notizie arrivano dal Karakorum Pakistano dove il 32enne alpinista di Cuneo Maurizio Giordano ha perso la vita durante un tentativo di salita al Gasherbrum IV. Aspirante guida alpina, Giordano faceva parte di una spedizione composta anche da Valerio Stella, Marco Majori, Marco Farina e Daniele Bernasconi che aveva come obbiettivo la salita dei 7925m della vetta della “montagna scintillante”, 60 anni dopo i primi salitori Walter Bonatti e Carlo Mauri che facevano parte della celebre spedizione guidata da Riccardo Cassin.

L’incidente si è verificato ad una quota di 6300 metri, sotto la cosiddetta “seraccata degli italiani”. Questa la notizia riportata nel sito della Sezione Militare di Alta Montagna: www.sportmilitarealpino.eu/2018/07/11/spedizione-g4-grave-incidente-sulla-seraccata-degli-italiani/

Roberto Mazzilis: l’arrampicata, l’alpinismo, Arrampicarnia e i 150 anni della Cjanevate

Intervista a Roberto Mazzilis per parlare del suo modo di vivere l’arrampicata e l’alpinismo ma anche di Arrampicarnia (13-15 luglio 2018) e del 150° anniversario della Prima salita della Creta della Cjanevate

È stato tra i protagonisti della prima edizione di Arrampicarnia e le sue salite sulla Creta delle Chianevate hanno permesso al mondo di scoprirne la bellezza della roccia, ma il suo nome è strettamente legato a tutte le Orientali, le montagne di casa. Roberto Mazzilis, grande arrampicatore carnico di Caneva di Tolmezzo, ha all’attivo un migliaio di scalate, circa cinquecento nuove vie aperte e un centinaio di solitarie. Siccome il padre giocava bene a pallone, da ragazzino aveva iniziato a militare in una squadra di calcio, ma lo aveva fatto “solo per compiacere papà”. Regole, confronto, allenamento imposto, per il carattere “anarchico” di Roberto il calcio non faceva proprio. Appena provata l’arrampicata seguendo le orme dello zio materno, invece, si è subito sentito nella sua dimensione. Un amore a prima vista, vien facile da dire, come ‘a vista’ è sempre stato il suo approccio preferito alle nuove linee sulla roccia che lo aspettavano per essere liberate.

150 anni dalla prima ascensione della Creta delle Chianevate da parte di Paul Grohmann. Un massiccio per molti anni trascurato dagli scalatori per la roccia friabile, dove però, a un certo punto, hai aperto la “Cjargnei über alles” sul pilastro della Plote, un IX grado a vista. Cosa rappresenta per te questa montagna?
Direi che la Cjanevate è una montagna simbolica per l’arrampicata friulana. La parete di confine che si vede dalla pianura e dalla costa triestina, una cresta che a sud digrada con dei pilastroni. Era considerata marcia, pericolosa, invece è la roccia migliore di tutta la Carnia e anche oltre. Credo che quanti l’hanno bollata negativamente abbiano cercato i canali, dove ad occhio ci sono le vie più percorribili e dove trovi roccia friabile. Io invece sono andato in parete e lì la roccia è bellissima e ci sono vie stupende. Per fortuna ho voluto metterci le mani. Come quando scali una via difficile che presenta delle incognite, tipo una barriera di tetti. Devi arrivare là per trovare il passaggio risolutore, quando sei nei tetti ecco che vedi una cengetta o una fessura che ti porta fuori. Quando abbiamo iniziato ad esplorare la Cjanevate abbiamo capito che si prestava naturalmente a un’evoluzione dell’arrampicata con un innalzamento dei gradi. Anche per questo la definisco simbolica.

I gradi. Tu ne hai conquistati di importanti, quanto hanno contato e contano nella tua attività?
Relativamente. Negli anni Ottanta ero attirato dal grado, sai l’arrampicata sportiva era una novità. Mi ero anche costruito artigianalmente una trave per allenarmi e migliorare. Molti 7c li facevo a vista, specie sugli strapiombi, i gradi superiori andavano lavorati. Tendenzialmente o mi riusciva una via sportiva in due, tre tentativi, o non mi interessava. L’allenamento metodico toglie la spontaneità che per me è sempre stata fondamentale. Ad ogni modo se vuoi fare un grado alto vai in falesia, non bisogna scimmiottare l’arrampicata sportiva in montagna. La montagna è armonia, dei movimenti e con l’ambiente.

Un approccio classico ed etico all’alpinismo…
Ritengo che chi frequenta la montagna e arrampica non debba modificare l’ambiente, così come lo trova lo deve lasciare, sfruttando ciò che gli dà la natura. Le protezioni non devono stravolgere né la roccia né l’avventura che vivi in quel momento. Pensa ai chiodi di una volta, a com’erano forgiati, si integravano perfettamente con l’ambiente. La roccia è di tutti, bisogna avere cura di ciò che la natura ci ha regalato e tutto ciò che l’uomo inserisce nelle pareti in qualche modo le altera.

E la sicurezza?
La sicurezza che io cerco mi arriva dalla preparazione fisica e mentale. Mi alleno in palestra (falesia, ndr) per arrampicare in montagna, dove non ci si si può permettere di sbagliare. Davanti a un passaggio difficile so di essermi allenato per quello. Bisogna essere consapevoli di ciò che il proprio fisico riesce a fare; quando si prende una tacca piccola si deve sapere per quanto tempo si tiene la presa, altrimenti è uno sprezzo alla vita.

Nel tuo curriculum ci sono tante solitarie e tante vie aperte.
L’arrampicata in solitaria dà sensazioni uniche. La concentrazione è massima, sei sempre in azione e sei libero, in ogni decisione e in ogni movimento. Ovviamente resto al di sotto del mio limite; se non lo facessi, come dicevo, sarebbe un azzardo. Una via nuova ti permette di conoscere ogni piega della roccia, di andare dove vanno solo aquile e corvi, dove nessuno è mai stato. Il mio sogno è trovare una parete arrampicabile che mi consenta di ‘camminare’ sulla roccia. Aprire una via è cercare il facile nel difficile, non viceversa, fare il passaggio più naturale senza forzature. Un gesto andato a vuoto, spostare la mano in cerca di un altro appiglio, per me è già fastidioso. Quando riesci a trovare dalla base alla cima tutti gli appigli che servono per andar su sembra che la natura li abbia sistemati proprio perché tu possa scalare. E torniamo a prima. Sui monti non ha senso cercare il grado dove non serve, come non ha senso andar su con il trapano. Ci sono rimaste poche nuove vie e dovrebbero essere aperte seguendo un’etica di mantenimento dell’integrità della montagna.

Sei un purista.
In questo senso sì. E mi piace la coerenza. In oltre quarant’anni di alpinismo ho cercato di essere coerente con il mio pensiero. Se ho iniziato in un modo credo sia giusto continuare così per me stesso e per chi mi conosce.

Fedele a te stesso come apritore e, mi pare, anche più in generale, con un rapporto mai ossessivo con l’alpinismo.
Ho sempre voluto che la montagna non diventasse troppo invadente e che restasse una passione, meravigliosa. Rispetto chi fa scelte diverse, ma per me era giusto inserirla in un contesto di vita normale fatta anche di lavoro, di famiglia e amici, di altro.

Tra qualche giorno si festeggeranno il 150° della prima alla Cjanevate e una ripartenza di Arrampicarnia. Che ricordo hai della mitica Arrampicarnia degli anni Ottanta?
Conservo un ricordo stupendo. Una cosa innovativa, uno dei primi raduni di arrampicata sportiva vissuto come una festa, molto ben organizzato. C’erano i migliori climber del nord Italia. Un bel ritrovarsi e confrontarsi. Sai, tutti si faceva finta di niente e la gara ufficiale non c’era, ma nessuno voleva far brutta figura. Siamo andati su Svaghi di Kalì… è andata benissimo. E poi è stata l’occasione per far conoscere al mondo dell’arrampicata la Carnia con le sue pareti e vedere che tutti le apprezzavano. D’altronde non ci sono tante falesie così belle in giro.

Quest’anno sarai al campo base di Passo di Monte Croce Carnico…
Sì, con Attilio e Reinhard (De Rovere e Ranner, ndr) parleremo dell’arrampicata in Cjanevate. In parete stavolta toccherà a mio figlio Fabio e a Vera, la sua compagna (Gussetti, ndr).

So che sono due giovani che promettono, forti e con prestazioni in crescita.
Non sta a me… Fabio si è guadagnato da poco il suo primo 8b+ e pure Vera è fresca di un 8b… diciamo che la tradizione di famiglia è in buone mani!

Intervista di Giuliana Tonut

Roberto Mazzilis sarà al “campo base” di Passo di Monte Croce Carnico insieme a Reinhard Ranner e Attilio De Rovere sabato 14 luglio, alle ore 20, nell’incontro dedicato ai protagonisti di oggi dell’arrampicata in Cjanevate.

Programma completo su www.arrampicarnia.it

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Vertical Jungfrau Marathon di Roger Schäli & David Hefti

Alpinismo: il video della maratona verticale di Roger Schäli e David Hefti che il 22 agosto 2013 hanno salito oltre 3300 metri di dislivello, con 23 tiri fino al 7a+, in 16 ore per raggiungere la cima della Jungfrau nel Oberland Bernese in Svizzera.

È complessa. Completa. Richiede un po’ di tutto. Poi segue una linea affascinate, bellissima, che vedi dal fondovalle fino in cima.” Così l’alpinista svizzero Roger Schäli ci ha descritto la cosiddetta ‘Jungfraumarathon’ che con oltre 3300 metri di dislivello porta dal Lauterbrunnental in cima alla Jungfrau nel Oberland Bernese.

La “maratona verticale” ricalca due vie esistenti, Stägers Bürtblätz (350m, 7a+) e Fätze und Bitze (300m, 7a) poi segue la lunga cresta Rotbrättgrat fino ai 4156 metri della cima. I primi che hanno individuato questo percorso sono stati Sacha Wettstein e Andreas Leibundgut in due giorni nel 1997, mentre il 22 agosto del 2013 Schäli, insieme a David Hefti ha impiegato 16 ore, partendo alle 3:30 di notte e arrivando in cima alla 19:30.

“Ancora oggi la considero una salita importante” racconta Schäli “per certi versi unica nel suo genere qui nelle Alpi.”

Via ferrata delle Aquile alla Cima Paganella

La descrizione della Via ferrata delle Aquile alla Cima Roda della Paganella (2124m) in Trentino, con splendida vista sulla Valle dell’Adige, le Dolomiti di Brenta fino al Lago di Garda. Di Mauro Girardi, Guide Alpina MMove.

Emozionante, esposta, indimenticabile… la Via ferrata delle Aquile sulla imponente parete est della Cima Roda della Paganella in Trentino è stata inaugurata pochi anni fa e gode di una straordinaria vista panoramica sulla Valle dell’Adige, le Dolomiti di Brenta fino al Lago di Garda.

Dedicata a Carlo Alberto Banal, la ferrata è molto esposta ed attrezzata con cavo e staffe di metallo. Nella seconda metà della ferrata si attraversano due ponti tibetani e la parte finale presenta due varianti per raggiungere il Trono dell’Aquila che segna la fine della ferrata: la prima alternativa è caratterizzata dal classico cavo metallico e staffe infisse nella roccia, l’altra più impegnativa è caratterizzata da scale a pioli a sbalzo dalla forma a spirale con torsione a 360°.

Una ferrata molto affascinante e carica di adrenalina, dovuta all’esposizione costante, adatta ad escursionisti esperti senza paura del vuoto ed in buona condizione fisica.

di Mauro Girardi, Guide Alpina MMove.

SCHEDA: Via ferrata delle Aquile, Cima Roda dellaPaganella

Altre vie ferrate attorno ad Arco e il Lago di Garda
Via ferrata Monte Colodri
Itinerario percorribile in ogni stagione, non impegnativo e capace di offrire bellissimi scorci panoramici sulla conca di Arco e sulla strapiombante parete est dei Colodri. Questo percorso e’ stato realizzato nel 1981 dalla Sezione S.A.T. di Arco per facilitare il rientro agli alpinisti che salivano sulle vie di roccia del Monte Colodri.

Via ferrata Cima Capi
Via ferrata esposta e ben attrezzata, molto panoramica e a picco sul lago di Garda. Adatta a chi ama le escursioni e vuole iniziare l’attività su vie ferrate o sentieri attrezzati. L’escursione è di notevole impegno in considerazione del dislivello e sviluppo da percorrere. Si svolge interamente sulla riva occidentale dell’alto Lago di Garda, offre scorci di rara bellezza sul Lago e sulla valle del Sarca, a volte con esposizioni mozzafiato per la verticalità delle pareti sottostanti.

Via ferrata Rio Sallagoni al Castel di Drena
tinerario percorribile in ogni stagione, non impegnativo e capace di offrire dei bellissimi scorci in un ambiente suggestivo all’interno di un canyon di rara bellezza. Questa ferrata, se pur non molto lunga merita sicuramente una visita.
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Via Ferrata Monte Albano
Via ferrata molto impegnativa e richiede buone doti alpinistiche e preparazione fisica e atletica. Supera un dislivello di 300m, arrivando a quota 600m. Risale pareti verticali e talvolta strapiombanti con il minimo utilizzo di mezzi artificiali.

Via ferrata Che Guevarra al Monte Casale
Via ferrata intitolata al rivoluzionario Cubano, l’itinerario supera il versante est della grandissima parete del Monte Casale nel suo margine meridionale. Il tracciato, ad esclusione della prima parte che ci sono alcuni salti verticali, si snoda tra placche levigate, canali e cenge. Questa via attrezzata, tecnicamente non molto impegnativa, richiede buoni doti alpinistiche, preparazione fisica e atletica. L’itinerario supera un dislivello totale di 1380m, arrivando a quota 1630m della cima del Monte Casal

Presanella Cresta Nord Est con gli sci per Roberto e Luca Dallavalle

Il 2 giungo 2019 Roberto e Luca Dallavalle hanno sciato la cresta nord est della Presanella. Una chiusura di stagione “molto particolare” su una classica via alpinistica nel gruppo dell’Adamello – Presanella.

Chi legge queste pagine con una certa frequenza avrà notato che i fratelli Dallavalle,Roberto e Luca, hanno avuto una stagione sciistica assolutamente da incorniciare. Idue hanno scaldato i motori con la pazzesca prima discesa della parete sud di CimaMandron nelle Dolomiti di Brenta a febbraio, mentre a marzo hanno sciato laparete est di Cima Tosa, la parete nord-ovest della Cima del Vallon ed il Canale ovestdella Cima Brenta. Ad aprile si sono spostati nel gruppo dell’ Adamello – Presanella pereffettuare l’impegnativa prima discesa della parete nordovest di Cima Scarpacò seguitadalla Parete Nordest di Cima di Bon, mentre a maggio i due sono tornati in Brenta peraggiudicasi una big line della Parete Nordest del Crozzon di Val d’Agola.

Adesso, il 2 giugno per la precisione, Roberto e Luca Dallavalle hanno salito e poi sciato la Cresta Nord Estdella Presanella, la storica via aperta nel 1881 che solitamente viene salita o come viadi roccia in estate oppure, condizioni permettendo, come via di misto anche adesso.Solitamente l’attacco viene effettuato da nord, i fratelli invece hanno collegatola cresta ad un canale meno frequentato in salita che scende a sud est e porta allabase della parete est in Val d’Amola.

Su facebook Luca Dallavalle aveva spiegato “Non avevo mai considerato la cresta nord est dellaPresanella come una via sciabile. Ma ieri dopo averla salita e aver constatatol’innevamento eccezionale una volta in cima ci siamo detti perché no. La via èfantastica da fare in salita ma molto tecnica da fare con gli sci per la costanteesposizione. Per sciarla abbiamo fatto qualche breve incursione sulla nord e sulla estpoiabbiamoproseguitoper ilcanale che porta alla base della est. 700m di dislivello intotale.Abbiamo toltogli sci solo in un breve tratto nella parte alta della cresta e l’altro nellagoulotte alla base del canale della est. Con Roberto, felice di aver chiuso questa superstagione in questo modo”
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Parlandoci dopo la discesa, Luca ha raccontato “La giudico come una cosa moltodiversa da tutte le discese che faccio solitamente perché questa è una via moltorelazionata e che frequentano in molti in salita. Poi anche il fatto di sciare in cresta èuna cosa molto particolare per l’esposizione costante.”

Davide Colombo e Giulia Medici si aggiudicano la tappa di Coppa Italia Boulder all’Outdoor Expo di Bologna

Il secondo appuntamento della Coppa Italia Boulder 2019 è stato vinto, in una gara piena di colpi di scena, da Davide Colombo e Giulia Medici. Terminano al secondo posto Stefan Scarperi e Camilla Moroni, mentre Michael Piccolruaz e Anna Borella chiudono il podio.

Si è svolta nelle giornate di sabato e domenica la seconda tappa della Coppa Italia Boulder all’interno del quartiere fieristico di Bologna, ben inserito nel contesto della fiera dell’Outdoor Expo. Quest’anno il circuito è condensato in sole tre tappe e a Bologna gli atleti erano molti, ben 129 maschi e 59 femmine, da un totale di 70 società sportive! Numero che è stato egregiamente gestito nell’ambiente fieristico grazie ad un’ottima organizzazione ed una buona disponibilità di spazi. Gli atleti si sono destreggiati sui problemi proposti dal team di tracciatura composto da Luigi Billoro, Flavio Catozzi, Luca Camanni e Giovanni Canton.

La prima giornata di gara è stata molto intensa e prevedeva due turni di qualifica per i maschi ed uno in serata per le femmine. Domenica invece la gara è decollata fin da subito con un turno di semifinale molto selettivo che ha escluso dalla finale alcuni dei finalisti di Prato, la prima competizione del circuito di quest’anno.

In finale Stefan Scarperi non è riuscito a mantenere il dominio mostrato in semifinale e ha dovuto cedere la prima posizione a Marco Colombo che è riuscito a risolvere un blocco in più, guadagnandosi così la sua prima vittoria nel circuito senior. Seguono Michael Piccolruaz e Filip Schenk che salgono lo stesso numero di blocchi ma con qualche tentativo di differenza, e proprio Shenk rischiava di ribaltare l’esito della gara con un ottimo tentativo sul quarto blocco.

La gara delle donne è stata vinta da Giulia Medici che è riuscita a primeggiare su Camilla Moroni per un paio di tentativi, in una gara molto serrata dove un paio di atlete hanno mancato il top del quarto blocco per un soffio.

A decidere la, purtroppo, brevissima stagione sarà la terza ed ultima gara che si terrà a Bressanone il 23 marzo.

Per vedere tutte le foto diStefano Pichi su flickr.com clicca qui

Classifica femminile
1 Giulia Medici
2 Camilla Moroni
3 Anna Borella
4 Miriam Fogu
5 Martina Zanetti
6 Alessia Mabboni

7 Irina Daziano
8 Cecilia Zaniboni
9 Sara Morandini
10 Camilla Bendazzoli
11 Olimpia Ariani
12 Martina De Preto
13 Petra Campana
14 Adelaide D’Addario
15 Caterina Dal Zotto
16 Elisa Villa
17 Elisa Lauretano
18 Elisabeth Lardschneider
19 Viola Battistella
20 Giulia Alton
21 Federica Mabboni
22 Federica Papetti
23 Giulia Randi
24 Beatrice Colli
25 Giada Zurcher
26 Ludovica Merendi
27 Silvia Abate
28 Giulia Di Tommaso
29 Nora Rainer
30 Vanessa Marchionne
31 Wafaa Amer
32 Sara Giuseppetti
33 Giulia Rosa
34 Alice Manzoli
35 Giulia Costaguta
36 Rita Oltramari
37 Greta Pozzi
38 Matilde Monticelli
39 Alina Benazzi
40 Sofia Bellesini
41 Giulia Bernardini
42 Greta Zappini
43 Sofia Molinaro
44 Eugenia Pistara’
45 Savina Nicelli
46 Clara Vinci
47 Martina Pinza
48 Marta Bonat
49 Marta Pieri
50 Emma De Nicola
51 Elisabetta Siboni
52 Camilla Antolini
53 Mariachiara Casagrande
54 Sofia Fabbri
55 Giulia Asirelli

Classifica Maschile
1 Davide Marco Colombo
2 Stefan Scarperi
3 Michael Piccolruaz
4 Filip Schenk
5 Antonio Prampolini
6 Stefano Ghisolfi

7 Francesco Vettorata
8 Matteo Baschieri
9 Marcello Bombardi
10 Elias Iagnemma
11 Enrico Mosconi
12 Pietro Vangi
13 Davide Picco
14 Davide Bassotto
15 Simone Tentori
16 Pietro Biagini
17 Johannes Egger
17 Vega Bocchio
19 Moritz Sigmund
19 Luca Bertacco
19 Giovanni Placci
22 Lukas Amplatz
23 Luca Lauretano
24 Andrea Botto
25 Manildo Pucci
25 Alessandro Palma
27 Danilo Marchionne
27 Pietro Giorello
29 Raffaele Mattii
29 Giulio Feletto
31 Jean Bovo
31 Paolo Antoniotti
33 Simone Mabboni
33 Emanuele Quaglia
33 Ludovico Fossali
33 Damiano Capulli
37 Leonardo Gontero
37 Andrea Zappini
39 Davide Capperucci
39 Fabio Sciandrello
39 Paolo Vangi
42 Jacopo Capulli
43 Alessandro Santoni
43 Thomas Comin
45 Alessandro Bonat
45 Giorgio Tomatis
47 Alessandro Mele
47 Andrea Paleni
49 Andrea Tosatto
59 Tommaso Bianchedi
59 Samuele Bucelli
61 Niccolò Di Tommaso
61 Agostino Bearzi
63 Francesco Vender
63 Jonathan Kiem
63 Gabriel Nori
63 Lorenzo Garavaglia
64 Luca Boldrini
65 Pietro Vidi
67 Matteo Carazzai
67 Roberto Piscopo
69 Padilla Martin
69 Alessandro Luppino
71 Anselmo Bazzani
71 Davide Buoso
73 Folg Santamaria
73 Enrico Finotello
75 Dario Di Gennaro
75 Andrea Biassoni
77 Adriano Beshtriku
77 Stefano Cipollone
77 Francesco Zandonai
80 Elias Sanin
81 Thaler Nitz
81 Matteo Toscani
83 Simone Brustia
83 Alessandro Cingari
85 Vincenzo Maio
85 Michele Perottoni
85 Marco Vendruscolo
90 Federico Bagarin
90 Marcello Bruccini
90 Vanni Gardin
93 Edoardo Illuminati
93 Davide Zane
93 Lorenzo Ballocchi
96 Leonardo Giannotti
97 Samuele Bonfanti
97 Mirko Maraner
97 Alessio Elleboro
97 Nicolò Salvatore
97 Daniele Barachetti
102 Daniel Turco
103 Adriano Egidi
104 Daniele Preti
105 Tobia Ragni
105 Marco Rontini
107 Giacomo Nardis
107 Andrea Lidonnici
109 Stefano D’Annunzio
109 Michele Mattii
111 Jonathan Pallhuber
111 Giacomo Dal Pozzo
111 Daniele Rufi
114 Francesco Aquilio
114 Giordano Lusenti
116 Antonio Innocenzi
116 Alex Cecchini
116 Erald Keli
119 Simone Zappino
120 Daniele Balestrazzi
121 Diego Mureddu

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La traversata delle Valli di Lanzo: dalla Valle dell’Orco alla Valle di Viù

Elio Bonfanti presenta l’emozionante traversata delle Valli di Lanzo, una traversata escursionistico alpinistica dalla Valle dell’Orco alla Valle di Viù divisa in cinque giorni.

L’escursionismo è una di quelle chiavi che permettono di dare una nuova lettura al proprio modo di rapportarsi con l’ambiente, magari raccordando i pensieri a cosa si era fatto sulle pareti che incombono sui sentieri che da mezzo sono diventati meta e che finalmente hanno riacquistato una loro dignità ed identità anche agli occhi di coloro per i quali, per lunghi anni, i sentieri potevano essere solo verticali.

Si perché per lunghi anni la mente orientata a ben più alti obiettivi trascurava riducendoli a mero mezzo di avvicinamento sentieri, luoghi e panorami che diversamente anche all’ora, avrebbero avuto il loro bel perché. In Piemonte, la traversata escursionistico alpinistica, e pongo l’accento su alpinistica, che parte dalla Valle dell’Orco e raggiunge la Valle di Viù per me è stato un bel modo di coniugare quello che dicevo prima, permettendomi di godere in un modo molto “slow food ” di alcuni tra i migliori panorami delle Alpi Graie.

Salendo delle cime, in un lento nutrirsi della cosa che più ci piace, senza l’orgasmo dell’orologio e senza la tensione della grande salita.

La partenza da Ceresole Reale impone che qualcuno accompagni con l’auto sino a li e che poi questo volontario venga a riprendervi alcuni giorni dopo in Val di Viù.

Quando la feci, l’amico Beppe, si offerse di accompagnare me e la mia compagna a Ceresole Reale in auto abbandonandoci nel primo pomeriggio all’ inizio del sentiero per il colle Perduto alle Levanne.

Le indicazioni per il bivacco Leonesi, vero e proprio nido nel cuore della montagna ci scortarono per i primi 1300 metri di dislivello. Il giorno successivo, l’ultima strettoia del canale nevoso, che conduce al colle arriva quasi a 50 gradi ed apre finalmente l’orizzonte, sul ghiacciaio di Source d’arc, che con il suo lieve declivio ci accolse in tutta la sua maestosa e scintillante bellezza.

Posato il piede sul ghiacciaio, tirando verso sinistra giungemmo all’evidente intaglio della “Talancia Girard” la cui discesa se pur non facilissima in quanto, nella prima parte effettuata disarrampicando faccia a monte, ci depositò sui pendii sopra il Rifugio Daviso.

Questo rifugio, posto nell’ alto vallone della Gura, ci ospitò come si deve e lì la mia socia dormì ininterrottamente 24 ore filate. Il rifugio, è dominato dalle grande pareti della costiera Mulinet Martellot, che quasi dietro a casa permettono di vivere delle belle avventure in un isolamento quasi assoluto e che danno al bacino un aspetto di austera alta montagna.

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Il sentiero per raggiungere il passo delle Lose transita dapprima dal rifugio Ferreri, che è una costruzione ottocentesca che era da tempo in disuso perché soppiantata, si fa per dire, dal nuovo bivacco che il club Alpino Accademico aveva ricostruito tre volte in seguito alla caduta delle potenti valanghe che interessano la morena sulla quale lo avevano posizionato. Ora, definitivamente accantonata la decisione di rifarlo, l’accademico ha messo dei fondi per risistemare il Rifugio Ferreri portandolo se non a nuova vita, quantomeno all’onore del mondo.

Pertanto attualmente la tappa dal rifugio Daviso al Bivacco Soardi Fassero nel vallone di Sea è da fare in una tratta unica partendo molto presto la mattina, a meno di non fare come feci io spezzandola in due e bivaccando alla “belle etoile” sul basamento del bivacco Rivero, unica vestigia, di questo, ancora rimasta.

Non fu una tappa facilissima, in quanto l’individuazione della cengia di accesso ai pendi che conducono al colle non fu propriamente immediata e la segnaletica in loco, allora non era esattamente facile da vedere. Ad ogni buon conto però, un occhio un po’ allenato ai terreni diciamo d’avventura, non avrà certamente di problemi.

In questa tappa solitaria e maestosa, i panorami si susseguirono in modo emozionante, ma trascurammo le nebbie che pur conoscendo bene i luoghi ci dettero alcuni problemi di orientamento, obbligandoci nel primo tratto di discesa dell’altro versante, a prestare un po di attenzione.

Giungemmo al Bivacco Soardi a notte fatta e ci concedemmo poche ma indispensabili ore di riposo per affrontare il giorno successivo, la salita alla regina delle Valli “La Ciamarella”. Percorremmo la cresta est, che nella parte superiore segue per arrivare in cima una crestina nevosa di una bellezza mozzafiato. La discesa della via normale fu rapidissima ed il rifugio Gastaldi al Crot del Ciaussinè ci rifocillò a dovere.

Da li risalimmo ancora i pendii verso il Collerin d’Arnas per raggiungere il Lago della Rossa e poi giù a perdifiato verso Margone per concludere una gran bella cavalcata in un angolo di Alpi dove certamente non troverete una grande folla e dove potrete forse ritrovare le radici più autentiche della vostra passione per la montagna.

SCHEDA: La traversata delle Valli di Lanzo: Valle dell’Orco – Valle di Viù, Piemonte

Alex Txikon verso il K2. Cronache invernali dal Karakorum di Domenico Perri

Domenico Perri presenta la spedizione dell’alpinista basco Alex Txikon che ha come ambizioso obiettivo la prima salita invernale del K2, l’unico Ottomila ancora mai scalato d’inverno.

Il 10 ottobre del 2018 Alex Txikon, in una conversazione telefonica, mi aveva personalmente preannunciato la decisione di affrontare un altro inverno in Himalaya, ma era ancora indeciso circa la scelta, tra varie possibilità, Makalu, Everest o K2. Si ventilava da tempo circa una sua richiesta di permesso di salita invernale al K2. In quei giorni mi aveva chiesto di accompagnarlo al CB del K2, mi aveva anche confessato di essere “molto, molto contento della mia presenza all’Everest con lui…”. Dopo la telefonata avvertii un tuffo al cuore, ripensando all’esperienza trascorsa al seguito della spedizione del 2018. E un tremito nell’anima, ripensando alla opportunità di ripartire ancora una volta. Tuttavia, declinai quasi subito l’invito. Sarebbe stato complicato dovermi assentare per un mese dal mio lavoro. Peraltro, in Karakorum, e nell’area del K2 ero già stato nel 2011 e nel 2014.

Oggi, a circa un anno dal rientro dal campo base dell’Everest, dopo aver seguito la spedizione di Alex Txikon nel 2018 in invernale e senza ossigeno, conclusasi senza esito a causa dei forti venti in quota, riprendo il mio viaggio narrativo verso il K2. Stavolta sarà un racconto personale degli accadimenti e delle vicende relative alla spedizione di Alex Txikon al K2, ed al suo secondo tentativo di invernale. Il primo tentativo, nel 2014, fu prematuramente interrotto dalla burocrazia cinese che negò i permessi ai tre forti alpinisti impegnati nella scalata della parete nord del K2, Adam Bielicki, Denis Urubko e Alex Txikon (adventureblog.net, 17 dic. 2014).

Il racconto che scriverò per i lettori di Planetmountain.com si dipanerà da un vertice insolito, attraverso le testimonianze personali dei membri della spedizione, e il filo diretto che intratterrò con Ignacio De Zuloaga, di Barcellona, coordinatore della spedizione, Eneko Garamendi, un altro membro basco già impegnato nella precedente spedizione all’Everest. Inoltre, con la collaborazione di Asghar Ali Porik, Ceo di Jasmin Tours, l’agenzia pakistana che supporta la spedizione. E naturalmente con Alex, quando ci consentirà un contatto diretto dal campo base.

Con Alex ci sarà Felix Criado, un forte alpinista galiziano, già suo compagno di scalata proprio sul K2 nel 2013 (dopo un tentativo fallito a causa delle intense nevicate), due alpinisti polacchi, Marek Klonowski e Pawel Dunaj, e un gruppo di compagni nepalesi, Nuri Sherpa, Chhepal Sherpa, Geljen Sherpa, Wallung Sherpa e Pasang Sherpa, ormai molto affiatati, grazie alle precedenti esperienze invernali sull’ Everest. Oltre a Ignacio De Zuloaga, ed Eneko Garamendi (manager del campo base), fanno parte del team Bruno Barrilero (pilota di droni e fotografo), Josep Sanchís, Kepa Lizarraga, entrambi medici.

Partiti da Bilbao il 28 dicembre scorso, il team si è ricostituito a Kathmandu. Dopo un breve incontro con Simone Moro, impegnato nella scalata invernale al Manaslu, Txikon ha raggiunto sabato scorso Islamabad, dove ha ritrovato gli altri membri europei del team. Il 6 gennaio, dopo un rapida sosta organizzativa a Skardu, ha ripreso il viaggio raggiungendo nella giornata di ieri il villaggio di Askole, nel cuore del Karakorum, a circa 3000 m. di quota, ultimo avamposto abitato da cui inizia il percorso di avvicinamento al campo base del K2, attraverso il ghiacciaio del Baltoro.

La spedizione denominata K2 WinterTopAppeal ha altre finalità, oltre a quella specificamente alpinistica. Alcune iniziative pionieristiche, quali l’uso dei pannelli solari e le pale eoliche per trasmettere i messaggi, al fine di salvaguardare l’ambiente, riducendo l’uso di fonti energetiche fossili. Inoltre verranno installate svariate stazioni meteorologiche a quote differenti, per monitorare il clima invernale in Himalaya e le previsioni meteo, ma anche per analizzare i cambiamenti climatici in un ecosistema altamente sensibile all’incremento delle temperature terrestri, il tutto gestito dal Basque Center For Climate Research(BC3). Fra gli altri, un ulteriore progetto scientifico, il K2-Xtreme Genetics Project, che si prefigge di studiare i mutamenti genici associati ai cambiamenti fisiologici in organismi sottoposti a ipossia ipobarica estrema. Infine, un progetto di prevenzione e tutela della salute delle popolazioni Baltì, gestito dalla Fundaciòn Baltistan, attraverso la donazione di oltre mezza tonnellata di farmaci e prodotti alimentari alle popolazioni locali, inoltre saranno consegnati generatori di energia elettrica e accumulatori.
Tutto questo grazie all’impegno umanitario e personale di Alex Txikon.

Le spedizioni invernali al K2
Alex , dopo un lungo riserbo, ha deciso di annunciare la scalata invernale del K2 a fine novembre, attraverso un conciso comunicato stampa. Sulla stessa vetta è impegnata un’altra spedizione, russo-kazako-kirghisa, il cui capospedizione è Vassily Pivtsov, con Artem Braun, responsabile dell’organizzazione. Un primo incontro fra i leader delle due spedizioni è avvenuto a Skardu. Un caloroso gentlemen’s agreement fra alpinisti impegnati in un’impresa estrema, fra le più dure al mondo.

Nel frattempo, i soliti incalliti detrattori nostrani, presaghi di sventure di professione, hanno già sposato la causa della spedizione russo-kazako-kirghisa, contrapponendola alla spedizione di Txikon, già data per fallita, poiché ritenuta troppo ambiziosa nel tentativo di scalare la vetta attraverso la Via degli Americani, sulla inviolata cresta nord-est, scalata nel 1978 da un fortissimo team guidato da Jim Whittaker (la Via Americana incrocia la Via Italiana a circa 7950 mt). Peraltro Alex non si è mai pronunciato in modo definitivo sulla scelta della via. Saranno le condizioni ambientali, nivologiche e climatiche a dettar le scelte dei due team. E magari potranno unire le loro forze, come peraltro ventilato dallo stesso Braun, in un’intervista rilasciata a Anna Piunova (mountain.ru), nella quale ha rivelato alcune incognite ed altre interessanti riflessioni sulla spedizione al K2.

Rispondendo alle domande sul tipo di stile adottato dalla spedizione russo-kazako-kirghisa, Braun ha risposto che non intende utilizzare ossigeno durante la scalata, ma solo in caso di emergenza. La via da seguire sarà lo Sperone degli Abruzzi, ritenuta la più sicura, a dispetto della scelta dei polacchi, che decisero l’inverno scorso di salire per la Via Cesen, ripiegando poi sulla Via degli Italiani a stagione conclusa.

Artem Braun aveva già fatto parte della spedizione al Kangchenjunga con Denis Urubko (c’è anche un riferimento indiretto ai motivi del rifiuto di coinvolgere Urubko nella spedizione al K2 di quest’anno) ed era anche membro della spedizione al K2 nell’inverno 2014-2015 per la parete nord (con Urubko, Adam Bielecki e Alex Txikon), poi fallita a causa del rifiuto dei cinesi.
In una intervista a Desnivel, Alex aveva annunciato di aver stabilito contatti con Braun per coordinare le due spedizioni durante la scalata invernale al K2, tuttavia non è stato ancora confermato in modo definitivo un accordo fra le due spedizioni (nella citata intervista ad Anna Piunova, Braun non ha escluso una collaborazione fra i due team, anche se non sa ancora come potrà avvenire).

15 gennaio 2019
Oggi, con un messaggio privato Asghar mi ha appena comunicato che Pawel Dunaj e Marek Klonowski, membri polacchi della spedizione di Txikon, hanno raggiunto il campo base. Ad essa si aggiungerà un altro forte alpinista polacco, Waldemar Kowalewski, di Stettino, appena giunto a Skardu. Intanto il folto gruppo di alpinisti e portatori guidato da Alex, dopo aver bivaccato domenica a Urdukas, a circa 4000 m. di quota, ha appena raggiunto Concordia a 4530 m., ultimo campo prima del CB del K2.

di Domenico Perri
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Info: alextxikon.com

Luca Bana chiude Goldrake 9a+ a Cornalba

Nel tempio dell’arrampicata bergamasca, la falesia di Cornalba in Val Serina, il 21enne climber Luca Bana ha ripetuto Goldrake. Gradata 9a+, la via era stata liberata da Adam Ondra nel 2010 dopo essere stata chiodata anni prima da Bruno Tassi.

Ricordo ancora quando, dopo aver salito lo storico Jedi sulla est di Cornalba qualche anno fa, guardavo con ammirazione (da terra) quel tiro li a fianco, Goldrake liberato da Adam Ondra, chiedendomi se mai un giorno l’avessi provato.

É passato un po’ di tempo e nel frattempo sono migliorato. Quest’anno infatti, circa a metà marzo, sono tornato con una certa idea di metterci le mani, ma quel giorno ho poi optato per Uomo di piazza, bell’itinerario liberato da Gabri Moroni anni fa, riuscendo nella prima ripetizione.

Però la curiosità di misurarmi su Goldrake ormai era tanta, così finalmente mi sono convinto di andare a darci un occhio il weekend successivo. Quel sabato, il primo giorno sulla via, ho piazzato i rinvii e guardato bene tutti i movimenti, risolvendoli piuttosto bene e forse devo dire anche un po’ inaspettatamente.

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Il giorno seguente ho perfezionato qualche ‘methode’ e ho fatto un paio di giri in continuità, scalando bene la prima parte ma cadendo nella sequenza prima del crux. Ero davvero contento e motivato di continuare a provarla perché avevo capito che era una via che comunque avrei potuto fare, complice anche lo stile e i passaggi a me parecchio congeniali fin da subito.

Poi per quasi un mesetto, a causa di altri impegni e del brutto tempo, non ho potuto più andare a provarla. Ma appena possibile avevo intenzione di tornarci, d’altronde non volevo lasciar passare ulteriori giorni: così sabato scorso, con mio papà, sono salito in Corna per vedere come fosse messo il tiro.

I giorni precedenti aveva piovuto molto ma Goldrake (così come le altre vie) era tutta asciutta e le condizioni sembravano davvero buone. Ho fatto un giro di ricognizione per riprendere un po’ di feeling con le prese e i movimenti. Viste le buone sensazioni, ho deciso di provare a fare un giro bello convinto, più che altro per capire un po’ come mi sarei mosso in continuità. Sono riuscito a passare il punto dove ero caduto l’ultima volta, arrivando alla piccola decontrazione prima del crux, neanche troppo stanco. Con ancora un po’ di energia rimasta, ho affrontato quei 5/6 movimenti duri e qualche secondo dopo mi sono ritrovato con la presa della salvezza tra le mani. Non ci potevo credere!

Il tratto duro era fatto, ma la via non era ancora del tutto finita: ho cercato di rilassarmi e concentrarmi bene per salire l’ultima parte in placca, abbastanza delicata e da non sottovalutare. Tutto é andato per il meglio e ho moschettonato la catena, ancora incredulo di averlo salito così velocemente: mi sono bastati 8 tentativi (3 giorni di lavoro) per aggiudicarmi la sesta ripetizione di questo splendido test-piece di alta difficoltà.

Un doveroso ringraziamento a Bruno Tassi, al Camós, per aver avuto l’intuizione di chiodare una linea così futuristica per quegli anni. E ora, testa al prossimo progetto!

di Luca Bana

Luca ringrazia Climbing Technology,Ferrino,SCARPA

SCHEDA: la falesia Cornalba