Carra, Nev name ‘outstanding’ PL star Liverpool should target

Jamie Carragher believes James Maddison “is the one player outside of the top six who Liverpool should be looking at”.

Maddison enjoyed a fantastic debut campaign in the Premier League last season, impressing with Leicester.

His performances were enough to earn reported interest from Liverpool, Manchester United and Tottenham, as well as an apparent £60m price tag.

Carragher feels that while the Reds considered a move for former Anfield favourite Philippe Coutinho this summer, Maddison ought to have been targeted.

“I think he is the one player outside of the top six who Liverpool should be looking at,” he told Sky Sports.

“People have been talking about Coutinho coming back, but obviously that hasn’t happened as he’s gone to Bayern Munich.

“But if you are looking in the Premier League, yes he will cost a lot of money, but he should be the one Liverpool are looking at if you’re going to that next step up.”

Fellow pundit Gary Neville added his praise for “a genuine creative player” he believes to be “outstanding”.

“I think he will be playing for England a lot of times. He will be in the European Championship squad,” he said.

“I think he’s fantastic.”

 

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Fitz Roy: il tentativo sulla Via dei Ragni e altre salite patagoniche. Di Matteo Della Bordella

Il racconto di Matteo Della Bordella e suo tentativo di effettuare la prima ripetizione e la libera della Via dei Ragni sulla parete est del Fitz Roy in Patagonia, la via aperta nel 1976 da Casimiro Ferrari e da Vittorio Meles. Dopo alcuni tentativi la spedizione, composta anche da Luca Schiera, Silvan Schüpbach, Luca Gianola e Pascal Fouquet, è riuscita in altre belle salite, tra cui spicca anche l’apertura di una nuova variante al Pilastro Goretta, salito da Renato Casarotto nel 1979.

Siamo partiti per questo viaggio in Patagonia con il triplice obiettivo di (1) ripetere, (2) liberare e (3) ripulire dal materiale presente, la via dei Ragni al Fitz Roy. Questo storico itinerario sul quale ci sarebbe tantissimo da raccontare, tentato in passato da numerosi alpinisti e completato nel 1976 dal grande Casimiro Ferrari e da Vittorio Meles. Una via ad oggi ancora irripetuta ed una delle pagine di alpinismo più belle della storia dei Ragni di Lecco, pur trattandosi di una salita meno nota, rispetto ad altre, al grande pubblico.

Il nostro team era composto da 5 persone: io, Luca Schiera e Silvan Schupbach (una cordata ormai consolidata) e le due new entry Luca Gianola e Pascal Fouquet. Nella prima parte del viaggio la fortuna non è stata proprio dalla nostra: io e Luca siamo arrivati a El Chalten il 19 gennaio e il giorno successivo io sono stato messo k.o. per una settimana da febbre ed influenza. Dopo essermi ripreso ed aver salito con Luca il “Red pillar” (bella via di Kurt Albert e Bernd Arnold) alla Mermoz come riabilitazione, sono arrivati anche Silvan e Pascal ed abbiamo effettuato un vero e proprio tentativo sulla via dei Ragni al Fitz Roy.

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Anche qui non siamo stati troppo fortunati: alla fine del primo giorno è toccato a Silvan il mio destino di una settimana prima: febbre, influenza, brividi e stanchezza. Per questo motivo il secondo giorno abbiamo deciso di interrompere la salita e tornare giù tutti insieme alla base; una decisione difficile in quel momento, ma che col senno di poi ritengo giusta e saggia. In questi due giorni tuttavia siamo riusciti a percorrere 750 metri di via (purtroppo ne mancavano ancora 600!), tagliando le vecchie corde e scalette metalliche presenti, e depositandole sulle cenge, in modo che non intralciassero future ripetizioni. I primi 500 metri di parete sono stati anche percorsi tutti in arrampicata libera con difficoltà fino al 7a+/b (i primi 250 erano già stati percorsi in libera da Favresse e Villanueva nel 2011), al di sopra le fessure intasate di ghiaccio ci hanno costretto ad alcuni passaggi in artificiale.

Nel corso del mese di febbraio le condizioni climatiche sono un po’ peggiorate: il tempo non era particolarmente brutto, ma sempre instabile con finestre di bel tempo troppo brevi per un progetto come il nostro e precipitazioni sotto forma di neve talvolta abbondanti. I miei soci (Silvan, Pascal, Luca e Luca) si sono diretti al Cerro Torre, dove hanno ripetuto la via dei Ragni. Io ho voluto fare un altro tentativo al nostro progetto, con Tobias Wolf. Non siamo tuttavia nemmeno riusciti ad attaccare a causa della troppa neve in parete e della meteo avversa e ci siamo dovuti accontentare della salita della “Vioe des Benitiers” al Mocho.

A fine febbraio, quando ormai le speranza sembravano perdute ci si è presentata un’ultima chance! Anche qui il tempo non era perfetto, ma comunque sufficiente per effettuare un vero e proprio tentativo. Siamo partiti io, Silvan e Luca Schiera il primo giorno di bel tempo. La parete era in condizioni pietose, le fessure erano intasate di neve e ghiaccio e le placche fradicie per la neve in scioglimento! Dopo aver avuto difficoltà a passare dove nel tentativo prima eravamo saliti “di corsa”, abbiamo deciso di rinunciare. Le probabilità di arrivare fino in cima con la parete in queste condizioni sarebbero stata basse ed una salita prevalentemente in artificiale non era quello che stavamo cercando.
Siamo quindi scesi e ci siamo diretti verso il Pilastro Casarotto, sperando che la sua esposizione “soliva” offrisse delle condizioni migliori per l’arrampicata libera. Bingo! La fessure qui erano pulite e la parete in ottime condizioni.

Non avendo la relazione della via aperta da Casarotto nel 1979 (altra impresa leggendaria della quale ci sarebbe tanto da raccontare), siamo saliti sul Pilastro Goretta guidati dall’istinto e dal piacere della scalata. Questo pilastro presenta una gran quantità di diedri e fessure perfette, che sparano dritte verso il cielo. Abbiamo scelto quella che ci è parsa la linea più bella, divertente, elegante e per noi “challenging” da salire in arrampicata libera, passando proprio nel centro del pilastro. Dopo aver bivaccato in cima al pilastro Goretta il giorno successivo abbiamo poi completato la nostra salita arrivando in cima al Fitz Roy lungo la via aperta da Renato Casarotto.
Una salita di grandissima soddisfazione per la bellezza della linea e dell’arrampicata, su una delle montagne più belle del mondo.

Solo quando siamo tornati a El Chalten, confrontandoci con Rolando Garibotti e il suo sito www.pataclimb.com abbiamo scoperto di aver aperto una nuova variante. L’abbiamo chiamata “Amaro vecchia romana” 7a+ max, un passo di A0 per una caduta a fine tiro, che non abbiamo riprovato.

Nella stessa finestra Luca Gianola e Pascal hanno tentato la via Franco Argentina al Fitz Roy, terminando la salita alla fine delle principali difficoltà tecniche, a poche centinaia di metri dalla cima a causa del vento forte. Non male per Luca Gianola, ultimo acquisto della famiglia “Ragni” e proveniente dall’iniziativa dell’Academy (che ha lo scopo di formare i ragazzi giovani all’alpinismo di alto livello): prima volta in Patagonia, sfiorata la doppietta Torre e Fitz (oltre alla Voie des Benitiers al Mocho sempre insieme a Pascal Fouquet).

Tornando al nostro progetto originario, salire in libera la Est del Fitz resta per me ancora un grande sogno. La linea aperta da Casimiro Ferrari e Vittorio Meles è spaziale e merita di essere ripetuta e liberata. Tuttavia bisogna aggiungere che, se paragonata alle altre vie sulla stessa parete (Royal flush, El Corazon, Linea d’Eleganza), questa prende meno sole ed è quindi più soggetta al rischio di fessure intasate da neve e ghiaccio…come sempre trovare le condizioni giuste per l’arrampicata libera in Patagonia non è affatto facile!

A proposito del terzo obiettivo della spedizione, ovvero quello della pulizia della via, sono stati fatti grandi progressi verso una completa pulizia.
Non solo per merito nostro, ma grazie a un ottimo lavoro di squadra. Anzi il merito principale è degli amici Cristobal Senoret e Inaki Cousirrat.
Infatti durante il nostro primo tentativo Io, Luca, Silvan e Pascal abbiamo tagliato corde e scalette durante la nostra salita e le abbiamo depositate sulle cenge con l’idea di raccoglierle durante la discesa. In realtà poi, in quell’occasione, come già ho avuto modo di scrivere, Silvan è stato male e non era quindi in grado di scendere con zaini pesanti, ragion per cui siamo riusciti a riportare alla base solo poche vecchie corde, mentre abbiamo lasciato il resto del materiale in parete, ma comunque in luoghi dove non fosse di intralcio alla scalata. Proprio mentre noi scendevamo abbiamo visto Cristobal e Inaki attaccare la nostra stessa via.
I due ragazzi, il giorno successivo hanno poi trasportato a Paso Superior circa 35 kg tra corde e scalette di metallo (!!).
Oltre a loro anche altri scalatori Argentini (con i quali mi scuso fin da ora perché non ricordo nomi e cognomi) hanno collaborato alla pulizia della via sulle prima lunghezze ed anche gli operatori del “Parque Nacional Los Glaciares” i quali hanno riportato o riporteranno le scalette in paese.

Onore al merito a Inaki e Cristobal che hanno fatto senza dubbio il lavoro più duro e grazie a tutti quelli che hanno collaborato! In parete è ancora presente del materiale, da trasportare a valle, il lavoro non è quindi ancora terminato. Tuttavia, per lo meno il fatto che la linea di scalata ora sia sgombra da intralci, potrà invogliare altre cordate a tentare una ripetizione e durante la discesa a riportare quindi a valle parte del materiale ancora presente in parete; così facendo mi auguro che negli anni a venire ci sarà sempre meno materiale abbandonato e pian piano tutto verrà riportato a El Chalten.

Ci tengo tuttavia a precisare che scalette e corde non furono lasciate solo da Casimiro Ferrari e dalla spedizione dei Ragni di Lecco. Quella via era già stata tentata gli anni precedenti da altre cordate Italiane, Svizzere e Francesi. Addirittura gli Svizzeri due anni prima erano arrivati a quasi 200 metri dalla cima.

Per chiunque fosse interessato ai racconti delle nostre salite o tentativi e ad alcune riflessioni personali rimando ai singoli articoli pubblicati nel corso della spedizione sul mio blog: http://ragnilecco.com/author/matteo-della-bordella

di Matteo Della Bordella – Ragni di Lecco e C.A.A.I.

Triglav e Travnik, importanti salite invernali in Slovenia di Mrak, Vukotič e Marčič

Dal 23 – 26 dicembre 2014 i giovani alpinisti sloveni Matevž Mrak (23) e Matevž Vukotic (24) hanno effettuato la seconda salita invernale, e la prima dalla base della parete, di una delle vie più famose della Slovenia, Obraz Sfinge sulla parete nord del Triglav. Lo hanno fatto salendo la via Prusik – Szalay per un viaggio complessivamente gradato VI, M6+ R, AI4, VII- A1, con 1000 dislivello e 1600m di arrampicata totale. Il 10 gennaio Mrak, Vukotič e Nejc Marčič (29) hanno effettuato sulla cima Travnik la seconda invernale della via Sveca (VII-, 800m) in 18 ore. Il report di Matevž Mrak.

L’inizio di questa stagione invernale nelle Alpi slovene non sembrava molto promettente. Poca neve e temperature abbastanza alte per questo periodo dell’anno ci hanno costretto a salire vie che solitamente vengono scalate in estate.

Prima di Natale però le cose sono cambiate e Matevž Vukotic ed io abbiamo deciso di salire la parete nord del Triglav; volevamo raggiungere la parte più esposta e bella della parete, chiamata Sfinga (Sfinge), tramite la classica via Prusik – Szalay (Karl Prusik, Roman Szalay in 1929, V/IV+, 1000m).

Questa salita inizia con una lunga traversata verso destra, passando per alcune rampe di neve interrotte da alcune fasce rocciose. Dopo una ventina di tiri con difficoltà fino a M6 abbiamo raggiunto il nostro primo bivacco sotto l’Anfiteatro (l’ampia fascia posta proprio di fronte alla Sfinge). Abbiamo consumato quasi tutti i nostri viveri visto che desideravamo raggiungere la cima il giorno successivo. Tuttavia, i nostri desideri non si sono avverati a causa delle cattive condizioni della traversata lungo le cenge Zlatorogove ed un difficile canalone sulla via Obraz Sfinge.

Abbiamo effettuato il nostro secondo bivacco all’inizio della Obraz Sfinge, per lungo tempo la via più impegnativa della parete nord del Triglav dopo la sua prima salita nel 1966. Nel 1995, quando fu finalmente salita in libera da Kresal e Kajzelj, è stata la via trad più difficile delle Alpi slovene. La prima salita invernale è stata effettuata nel 1977 dal leggendario alpinista sloveno Franček Knez; il team ha raggiunto la cima a piedi e si è calato in doppie per raggiungere la base della Obraz sfinge, per poi salire la via in giornata. Ma la via rimaneva ancora in attesa della prima salita invernale partendo dalla base della parete.

Dopo il nostro secondo bivacco abbiamo dovuto affrontare il traverso di 150m per raggiungere la headwall, la parte alta della via. La traversata era in brutte condizioni e ci sono volute 6 ore per raggiungere la headwall: sei tiri psicologicamente impegnativi ci hanno finalmente portato a questo punto, era quasi buio totale e così abbiamo abbandonato i nostri desideri di salire il tratto chiave in libera. Il resto della via era senza neve e piena di chiodi e siamo riusciti a salire rapidamente. Abbiamo raggiunto la cima ma a causa della nebbia ci siamo persi durante la discesa, impiegando sette ore per raggiungere la nostra macchina nella valle Krma. Tutto sommato si è rivelata un’avventura natalizia interessante.

Dopo esserci ripresi mentalmente e fisicamente Matevž ed io, insieme a Nejc Marčič, siamo partiti per la parete nord del Travnik. Durante l’avvicinamento mi sono reso conto di aver dimenticato le mie scarpette e ho anche notato che la suola delle mie scarpe si era appena staccata. Così Nejc mi ha prestato le sue scarpette, due misure più piccole e molto dolorose. Dopo sole tre ore di sonno al rifugio Tamar siamo partiti alle due del mattino e abbiamo raggiunto la base della parete alle cinque. Volevamo salire la via Sveca (VII-, 800m): i primi tiri erano coperti di neve e questo ci ha portato via un sacco di tempo prezioso. La parte più difficile della parete invece era priva di neve. Con le ultime luci abbiamo salito l’ultimo difficile tiro, da questo punto mancavano altri dieci tiri di misto per raggiungere la cima del Travnik. Dopo 18 ore complessive di arrampicata siamo crollati sul nevaio sommitale e ci siamo preparati per la lunga discesa fino al Passo Vrsic.

di Matevž Mrak

Per informazioni visitate: www.matevzmrak.si e www.marcic.si

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Blogger Contest.2014, i vincitori

La terza edizione del Blogger Contest “la mia montagna nel blog”, ideato da altitudini.it in collaborazione con Le Dolomiti Bellunesi e l’associazione bergamasca Gente di Montagna, è stato vinta dal bellunese Fre, 2° posto a Simonetta Radice, 3° a Stefano Lovison.

Erano 60 i partecipanti al Blogger Contest.2014 “la mia montagna nel blog”, terza edizione dell’iniziativa ideata da altitudini.it in collaborazione con la rivista Le Dolomiti Bellunesi e l’associazione bergamasca Gente di Montagna. Quattro le presenze dall’estero (Slovenia, USA, Germania e Francia). In tutto sono stati sfiorati i 140 post (ogni concorrente poteva presentare massimo 3 post) dai quali, spiega l’organizzazione “è possibile cogliere come sta evolvendo la comunicazione della montagna sul web e apprezzare modi e stili diversi di raccontare le proprie esperienze nelle terre alte”.

La giuria composta Silvano Cavallet (presidente della giuri e direttore responsabile della rivista Le Dolomiti Bellunesi), Emanuele Falchetti (giornalista professionista e redattore del mensile Orobie), Daria Rabbia (sociologa e redattrice del webmagazine Dislivelli.eu), Lucia Castelli (docente Scuola Regionale dello Sport del CONI Lombardia), Alberto Peruffo (fondatore di Intraisass, artista e attivista culturale), Elio Orlandi (alpinista e autore di documentari di alpinismo) ha indicato quali vincitori della 3a edizione del Blogger Contest:

1° posto: Fre (Belluno) * – link ai post presentati
2° posto: Simonetta Radice (Milano), giornalista – link ai post presentati
3° posto: Stefano Lovison (Padova), docente universatario – link ai post presentati
(*) Fre è uno pseudonimo (il regolamento del concorso non lo vietava), la vera identità del vincitore sarà naturalmente svelata, sabato 4 ottobre, nel corso della premiazione con la presenza del vincitore.

La premiazione si svolgerà sabato 4 ottobre 2014 a Belluno, nell’ambito della manifestazione Oltre le Vette, alle ore 16.00 presso la Sala Bianchi di viale Fantuzzi. Seguirà una tavola rotonda sul tema “Assenza dalla rete – diario di una spedizione in-comunicata”, con la partecipazione di Alberto Peruffo (fondatore di intraisass.it e capospedizione di K2014-150CAI – Zemu Exploratory Expedition), Teddy Soppelsa (fondatore di altitudini.it) e Davide Torri (presidente associazione Gente di Montagna) e altri blogger. L’evento è realizzato in collaborazione con AKU trekking & outdoor footwear.

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La via Superavanzi riattrezzata al Pilastro dei Barbari in Valsugana

Quest’autunno la via Superavanzi (185m, 6c+/S2/II, 6b+ obbl.) sul Pilastro dei Barbari, Canale del Brenta, Valsugana, aperta nel marzo 1992 da Francesco Leardi e Giuseppe Tararan è stata riattrezzata da Niccolò Antonello e Beppe Ballico. Inoltre, i due hanno aperto una variante al quarto tiro che offre un’arrampicata più logica e sicura.

E con questa il “lifting” al Pilastro dei Barbari è stato completato… Si, perché anche l’ultima via che molti alpinisti non sapevano nemmeno dell’esistenza è stata riattrezzata, nella speranza che ora venga ripercorsa e in maggior sicurezza. Sto parlando di Superavanzi, una via aperta dagli Accademici Francesco Leardi e Giuseppe Tararan, nel lontano marzo 1992 con l’uso di qualche chiodo, clessidre e spit da 8 mm piantati a mano.

In questi anni, la poca se non rara frequentazione ha fatto sì che la via in questione si riempisse di vegetazione, sporcandosi di licheni, obbligandoci durante i lavori ad un opera di “giardinaggio verticale”, un lavoraccio fatto con Niccolò Antonello, che speriamo dia i suoi frutti ai futuri ripetitori. Con questo non vuol dire che l’alpinista troverà una via pulita come la vicina Tovarich, ma dovrà prestare attenzione a qualche blocco instabile e fare i conti con qualche presa ancora sporca… e alle protezioni non propriamente “ascellari”…

Superavanzi offrirà un arrampicata principalmente tecnica e di continuità su placche verticali lavorate a gocce, buchi e tacche, un po’ come le due vicine “Tovarich” e “Paola”, ma con l’unica differenza che per questa è stata aperta una variante alla L4, a nostro avviso più logica, che ne raddrizza il percorso, andando così ad evitare un diedro di roccia molto insicura.

La via è stata completamente riattrezzata lungo i tiri e alle soste con fix da 10 mm, cercando di mantenere intatta la struttura originale della chiodatura, sostituendo solamente i vecchi spit.

Beppe Ballico (Caai Orientale)

SCHEDA: Via Superavanzi, Pilastro dei Barbari in Valsugana

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L’imperdibile viaggio al Bhagirathi IV della spedizione di Della Bordella, Schiera e De Zaiacomo

La spedizione dei Ragni di Lecco (composta da Matteo Della Bordella, Luca Schiera, Matteo De Zaiacomo) all’inviolata, difficile ed ambita parete Ovest del Bhagirathi IV (6193m, Garhwal, Himalaya indiano) raccontata dalla videomaker e alpinista Arianna Colliard. Uno sguardo diverso su un’esperienza che va ben oltre il risultato di un bel tentativo, finito a soli 200m dalla cima, su uno dei più interessanti problemi alpinistici himalayani. Da leggere!

Da dove si inizi il racconto di una spedizione, io proprio non lo so. Ma la spedizione di certo inizia molto prima di quello che si racconta. Inizia quando qualcuno lancia un’idea, o si ricorda di una foto o di un commento, quando si forma un gruppo con lo stesso intento… inizia da un’accurata divisione di compiti, da una serie di incontri e allenamenti, da preparativi estenuanti. Solo dopo, parecchio dopo, inizia la trasferta. O per vari motivi, come nel mio caso, si parte prima degli altri e poi si aspetta.

E così, il 16 agosto verso mezzanotte, si aprono le porte della caotica area arrivi dell’aeroporto di Delhi: bidoni blu, sacconi gialli, magliette sgargianti e tre visi pallidi un po’ assonnati si distinguono in mezzo ad una distesa di gente… Eccoli, finalmente! L’espressione di Teo (Matteo Della Bordella ndr), Giga (Matteo De Zaiacomo ndr) e Luchino (Luca Schiera ndr) all’impatto con il Delhirio della capitale, si sapeva, valeva pienamente l’attesa. “Ma c’è il riscaldamento acceso qua fuori?”. No. “Ma è proprio così? Veramente??”. Sì. (Ed è pure notte). La fase di acclimatamento al caldo torrido e all’umidità sconcertante di una metropoli nel pieno della pianura indiana e dell’estate, nessuno l’aveva considerata. Caos, clacson, gente. Tanta, tantissima gente. E mucche, cani, odori, colori, sudori, arie condizionate, cibo piccante, bevande ghiacciate… “Scappiamo!”.

La reazione generale, mio malgrado (temo più il freddo del caldo e ormai qui sono temprata…) ci spinge ad accellerare i tempi per arrivare in montagna il prima possibile. Non c’è obiezione, o eventuale monsone, che tenga. Mi chiedo tra quanto, come, e soprattutto, in quali condizioni, mi troverò a ripassare di qua al ritorno… Eppure, si sa, il bello sta anche nel gusto dell’incognito. Ad ogni modo, infilati nel mezzo di una stretta valle, dopo due giorni di strade sconnesse, tortuose, dissestate, e una breve tappa ad Uttarkashi, raggiungiamo Gangotri; forse (per gli altri) il posto più bello del mondo, a questo punto. O dell’India, date le premesse… nonostante piova, non ci sia quasi nessuno in giro (non doveva essere turistica?), i sadhu cerchino di rifilarti qualsiasi cosa e il cibo sia peggio del solito (il luogo è sacro e, nel rispetto di tutte le religioni indiane, pur facendo uso di ingenti quantità di chilli e di masala, qui non sono ammessi nè aglio nè cipolla… oltre alla maggior parte delle proteine animali).

Questa volta, quindi, sono io che non vedo l’ora di muovermi. Sento un’atmosfera da posto sacro d’oriente ormai profanato dall’occidente, dove se sei chiaro sei di passaggio, sei interessato più a comprare che a capire… più a cercare i souvenir che a osservare i riti hindù. Involontariamente però, Luca, Giga e Teo riescono subito a dare un’impressione diversa. La mezza giornata a Gangotri è riorganizzazione e relax, curiosità di capire come funzionano le cose, cosa si può trovare (non la doccia calda), cosa si può fare… Provare a comunicare. Senza la minima intenzione di aggiungere grammi ai quintali di bagagli che già abbiamo con noi. Ci cade l’occhio su un vero barattolo di Nutella, di certo scaduto e impolverato, forse ormai cristallizzato. Ora no, ci diciamo, è ancora presto… ma verrà probabilmente il suo momento.

I due giorni di trekking per raggiungere il campo base, con mia sorpresa, non si rivelano particolarmente impegnativi. Primo, perchè il cielo è minaccioso, ma non piove fino a quando arriviamo a destinazione… E secondo, perchè i 30 portatori arruolati per i 25 km del nostro percorso, ci alleggeriscono notevolemente le spalle da eventuali sovraccarichi. Certo a scapito delle loro teste, mi verrebbe da pensare, dato che qui per trasportare enormi pesi, utilizzano la fronte anzichè la schiena… Però il sistema sembra funzionare (anche i meno giovani sono diritti come pali), varrebbe la pena provare!

I primi giorni scorrono veloci: si organizza il campo, si sistemano i materiali, si fa il punto della situazione, si valutano le condizioni. Si cerca di capire quando e come lavarsi (io), quanto ci vuole ad acclimatarsi (Teo), come fare a guarire la terribile faringite di Giga (Luca), e come evitare di prendersela la prossima volta (Giga). Nel giro di poco (tra l’invenzione di un inedito gioco di carte e la creazione di nuove regole per un diverso baseball…), la routine si assesta, la gola s’aggiusta, buona parte del materiale è al campo avanzato e qualcosa, addirittura, già alla base della parete.

Per arrivare da un campo all’altro ci vogliono circa 3/4 ore, a seconda di quanto peso abbiamo sulle spalle (col nostro stile obsoleto), e il percorso non è durissimo, anche se a tratti decisamente ripido. La location però, ripaga di tutto il fiatone: una terrazza sotto agli imponenti Bhagirathi (il II, il IV e il III), con splendida vista sullo Shivling e, in parte, sul Meru Peak. C’è anche un grottone naturale che diventa il bivacco di Luca e Giga. Non li invidio per niente, ma ho motivo di pensare che abbiano patito meno il freddo di noi, tutto sommato. Le notti infatti sono lunghe e gelide; sempre più lunghe, sempre più gelide, soprattutto al campo avanzato, dove la mattina il sole (quando c’è) arriva tra le 10 e le 10.30…

Considerando che per attaccare la parete i ragazzi partono alle 5 e io mi sveglio con loro alle 4.15, mi tocca passare un bel po’ di ore in tenda, da sola, ad aspettare e congelare. O in alternativa, a star fuori e tremare per fare qualche ripresa o fotografare. C’è di buono che la maggior parte delle volte, quando verso mezzogiorno, recuperata la sensibilità di mani e piedi, mi appresto a tornare al campo base, intravvedo Jamir (il nostro ufficiale di collegamento) e Dinesh (il cuoco) intenti a raggiungermi, curiosi di vedere come funziona questa cosa dell’apertura di una nuova via su un’impressionante parete ancora inviolata…. Mi portano anche dell’ottimo pane alla patata (Aloo Parantha), non piccante, come pranzo al sacco, ritenendo che le nostre barrette e la nostra polenta istantanea non possano considerarsi degne fonti di nutrimento. Concordo!

Questo iter si ripete soprattutto nei giorni in cui sono in corso i tentativi in parete… Tre in tutto. Nei primi due, agli inizi di settembre, vediamo i nostri eroi rientrare al campo base poco dopo averli salutati sul Bhagirathi IV… E certo non è un buon segno. La prima volta, a loro dire, sono stati respinti perchè il sistema di fessure che avevano individuato non era continuo come sembrava, e senza spit, trapano e affini (come da loro intenzioni), non sarebbero riusciti a passare nella placca strapiombante che pareva attenderli poco più in alto…

La seconda volta la linea sembra esserci, ma sono le condizioni meteo a venire meno. In effetti metre li guardo scalare, scendendo dal campo avanzato sotto una leggera nevicata, vedo anche loro ormai avvolti dalla nebbia… E questo può significare solo una cosa: calcoliamo più riso e lenticchie per cena.

Non c’è due senza tre, il numero perfetto. Chi la dura la vince, chi non risica non rosica, rosso di sera bel tempo si spera. Questa volta i presupposti ci sono tutti! Metà settembre. Solito schema, rinnovata motivazione. Le temperature si sono abbassate vertiginosamente nell’ultima settimana, ma mentre scendo dal campo avanzato splende il sole. Allora aspetto un giorno, col fiato sospeso: il tempo tiene, non si vede nessuno all’orizzonte… Buon segno!

Ormai l’alba è scandalosamente tardi, il tramonto decisamente presto, e ho quasi finito tutti i libri, compresi quelli degli altri. Manca solo Così parlò Zarathustra, che ha portato Giga e che credo rimarrà lì, sul bidone che funge da biblioteca, intonso. Devo pure centellinare le batterie di camera e videocamera, meno sole vuol dire anche meno energia… E più ore di inattività. Le scorte di cibo si sono ormai decimate: siamo passati ai ceci speziati per colazione, che non sono così male, ma temo la fase successiva. Anche il ruscello ha poca acqua, fa più freddo e in quota scioglie meno, quindi lavarsi è ardua impresa e fare il bucato non è da prendere in considerazione.

Detto questo, è comprensibile il mio entusiasmo quando, binocolando dal punto panoramico più vicino al campo, mi rendo conto che in due giorni gli altri sono già a 200 metri dalla cima! Giusto sotto le prime striature nere di scisto, la grande incognita che, da lì, seduta su un masso con il binocolo in mano, non sembra possa essere un problema… Mentre invece lo è. In piena notte (o forse erano solo le nove, ma tant’è), qualcuno mi apre la tenda e a momenti mi viene un infarto; è Teo. Si sono calati, mi dice, lo scisto è un marciume strapiombante e improteggibile; hanno ancora alcune dita insensibili dal freddo e devono ripigliarsi un attimo, ragionare. Sono distrutti. Luca si è fermato a dormire nella grotta (allora è vero che è comoda!), ci raggiungerà domani.

La notte porta consiglio, ma anche tante nuvole e un cielo incerto. A breve ci sarà forse una finestrella di due giorni per tentare una salita fast and light senza portaledge, o magari sta per arrivare una mega perturbazione nevosa dalla quale è meglio scappare… Verso valle! Buona la seconda. Teo ha pure male all’inguine e teme un’ernia, ipotesi da porre al vaglio di un medico locale, se reperibile.

La discesa è infinita e bagnata, ma Gangotri finalmente è più popolata. Il telefono costa caro, non c’è internet, continua a piovere e le previsioni non promettono nulla di buono. E allora, che Nutella scaduta sia! Con i chapati, la morte sua. (E speriamo, non l’indigestione nostra…). Girovagando per il paese, tra un milk tea e un masala dosa, reperiamo poi informazioni poco chiare ma abbastanza concordi: a Nandanvan (il nostro campo base) e a Tapovan (quello dello Shivling), sta nevicando.
Il medico dei sadhu sconsiglia a Matteo di non fare sforzi e di non portare sacconi pesanti (sulla schiena. Ma magari sulla testa…). Lui non ne è convinto, noi neanche, ma un quarto tentativo sul Bhagirathi IV nelle prossime settimane (prima dell’effettivo rientro), sembra comunque utopia.

Risultato: Teo ed io rientriamo, Luca e Giga restano. Io ho tre giorni per: risalire al campo base, raccattare più roba possibile e organizzarla per tre portatori, trovare i tre portatori, scendere dal campo base e arrivare a Uttarkashi. Ce la posso fare. Giga e Luca invece aspettano che passi il grosso della perturbazione per tornare a Nandanvan, tentare qualcos’altro, se possibile (sono motivati!), e recuperare il materiale dal campo avanzato.

Tutto come da programma: quando ripasso da Gangotri saluto gli altri, raggiungo Matteo e insieme scendiamo a Uttarkashi, capoluogo dello stato indiano dell’Uttarkhand. E’ qui che scopro che il connubio birra (anche se poca) e pollo piccante, dopo parecchi andirivieni e un mese di alimentazione sana e salutare, per lo più in quota, può essere devastante. Il giorno dopo infatti, nel tragitto fino a Rishikesh, 6 ore di auto a manetta su una stradina in discesa solo curve, passo la mattinata peggiore di tutta la mia permanenza in India (in totale, dal 2007 ad oggi, circa 11 mesi). Nausea, vomito, mal di testa, sonno. Impossibilità a parlare, qualche difficoltà a respirare. Ecco, questa è l’unica parte che la prossima volta, nel caso decidessero di chiudere i conti con il Bhagirathi (non c’è due senza tre… Magari il quattro vien da sè!), mi risparmierò volentieri. Ed ecco quindi in quali condizioni, dopo 40 giorni, mi trovo a ripassare da Delhi.

Arrivati in Italia, dove credo si finisca il racconto di questa spedizione, scopriamo che anche Luca e Giga hanno anticipato il loro volo, ma sono poi riusciti a mettere i piedi in cima al Bhagirathi IV! Passando dalla normale, questa volta, cioè dalla parete Est, dato che il bello è durato pochissimo, la neve era tanta e un altro tentativo su roccia non sarebbe stato possibile. Grandi! Ringraziandoli per aver accettato di condividere con me questa meravigliosa esperienza, la cortesia, la fiducia e la santa pazienza, lascio loro un mio prezioso consiglio per un migliore rientro… Niente birra a Uttarkashi!! 😉

Arianna Colliard

>>> Il report di Mateo Della Bordella sulla spedizione alla parete ovest del Bhagirathi IV

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Sabato 26 settembre 2015 a Stoccarda in Germania la gara boulder adidas Rockstars con alcuni dei migliori boulderisti del mondo. Dalle 20.15 in live streaming.

Per il quinto anno successivo la Porsche-Arena a Stoccarda ospita adidas Rockstars, la gara boulder per alcuni dei migliori climbers al mondo. La Semifinale inizia alle 11:00, la Finale invece con i migliori sei uomini e le migliori sei donne inizia alle ore 20.30 e sarà trasmessa in live streaming. Se non funziona il player seguite questo link: www.adidas-rockstars.com

2011: Anna Stöhr & Dmitry Sharafutdinov
2012: Alex Puccio & Sean McColl
2013: Juliane Wurm & Jernej Kruder
2014: Akiyo Noguchi & Sean McColl


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Sicurezza in arrampicata sportiva: s’inizia dalle piccole grandi cose

Una breve riflessione sfogo di Nicola Tondini – guida alpina e direttore della palestra di arrampicata King Rock – sulla sicurezza in arrampicata sportiva che deve partire da piccole grandi cose (come l’uso corretto dei freni per assicurazione) e che ha bisogno dell’aiuto e la consapevolezza di tutti, a cominciare dai più esperti e bravi.

Sicurezza in arrampicata sportiva, a che punto siamo? Siamo messi un po’ meglio di qualche anno fa. Dall’ottimo punto di osservazione che può essere il King Rock, si nota una maggiore attenzione sull’uso dei freni per assicurazione. Sì, perchè il 100% degli incidenti che abbiamo avuto nella sala in cui si arrampicata con la corda, li abbiamo avuti per un uso scorretto del freno. Nei giorni in cui vengono i “soliti”, devo dire che si vede, infatti, un buon modo di far sicura. Nelle giornate di brutto tempo, in cui vengono anche persone meno abituali, la situazione è meno rosea.

Descrivo di seguito la dinamica dell’ultimo incidente avuto a Maggio 2015. Un ragazzo cade al 6° rinvio e arriva a terra: l’assicuratore utilizza il Gri-Gri e dà corda al “vecchio modo” (ovvero tenendo con la mano sinistra il gri-gri e la relativa camma e dando corda con la destra. Nessuna mano tiene la corda frenante). Finchè il compagno cade l’assicuratore rimane con la mano stretta sulla camma senza che niente tenga la corde frenante (quella prima del freno) causando così l’infortunio. I due ragazzi hanno imparato ad arrampicare lo scorso inverno, non hanno fatto un vero e proprio corso… probabilmente hanno copiato il modo di far sicura da molti altri arrampicatori che fanno sicura al “vecchio modo”.

Dentro di me sale un sentimento di rabbia soprattutto nei confronti degli arrampicatori bravi, esperti, con anni di sicura dietro le spalle, che non utilizzano i freni, quelli semiautomatici (gri-gri, cinch), in modo corretto. Non li usano come da istruzioni, ma al “vecchio modo”. L’occhio altrettanto esperto vede che pur utilizzando i freni in modo improprio, questi arrampicatori bravi ed esperti adoperano alcuni piccoli accorgimenti per mantenersi dalla parte della sicurezza…

PECCATO che ai principianti che li vedono qui o altrove, arriverà il messaggio che si può far tranquillamente sicura col grigri o altri freni semiautomatici in modi diversi dalle istruzione: modi apparentemente più comodi.
PECCATO che facilmente i principianti o le persone con meno esperienza, non saranno capaci di usare i semiautomatici (il grigri in primis) il quel modo improprio senza cadere in una situazione molto rischiosa.
PECCATO che sembrerà più figo fare diversamente da come cartelli, video, locandine dicono in sala o come la Petzl (per il grigri) cerca in ogni modo di far passare nelle sue campagne.
PECCATO che prima o poi qualcuno di questi meno esperti farà fare un buco per terra al proprio compagno.
PECCATO che con questi incidenti invece di avvicinare tanti giovani a questo magnifico sport, allontaneremo sia loro che le rispettive famiglie.
PECCATO…

Eppure ci vorrebbe così poco! Basterebbe che i bravi, gli esperti, i forti fossero di esempio nel far sicura bene. Basterebbe fare a gara a chi è più impeccabile nella sicurezza piuttosto che a chi è più “furbo”!

Nicola Tondini – Guida Alpina e gestore del King Rock

www.kingrock.it
www.xmountain.it

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Chris Bonington – Life and Climbs ai Mountain Film Festival di Banff e Graz

Il film su Chris Bonington è tra i finalisti del Mountain Film Festival di Banff e del MountainFilm di Graz.

Dopo il FilmFestival di Zakopane in Polonia e il Cervino CineMountain Festival, Chris Bonington – Life and Climbs è stato selezionato in concorso anche ai prestigiosi Festival di Banff (Canada) e Graz (Austria). Il lavoro sul grande alpinista britannico è stato realizzato da planetmountain.com con la regia di Vinicio Stefanello per il Comune di Courmayeur in occasione della consegna dei Piolets d’Or Carriere 2015 al grande alpinista britannico.

Chris Bonington – uno dei più grandi alpinisti della seconda metà del ‘900 – ripensa alla storia e alle avventure di una vita passata ad esplorare e scalare le montagne di tutto il mondo. “Mi sembra di essere ancora lì…” dice Bonington ricordando quelle montagne e quei momenti ancora così vivi e presenti. E’ lo spunto per un viaggio e una riflessione che abbraccia i sentimenti più profondi e nobili, ma anche contraddittori, del suo essere alpinista e uomo. Così l’amore per la moglie e i figli, la sua scelta di vivere di e per l’alpinismo, le amicizie, le conquiste ma anche la sofferenza per la perdita di tanti amici diventano il racconto, commovente e sincero, di un’esperienza e una ricerca unica che non può avere fine, come le grandi passioni.

Chris Bonington – Life and Climbs
Directed by Vinicio Stefanello
Cinematography by Francesco Mansutti – Raffaella Rivi
Editing by Francesco Mansutti, Studio Due
Executive producer Planetmountain.com
General manager and translation by Nicholas Hobley
Production Comune di Courmayeur – Centro Servizi Courmayeur srl
Additional images and footage Chris Bonington Archive
Music: Hold on by Tony Anderson, Dreamlife by Tony Anderson (themusicbed.com), Painting Emotions by Gregor F. Narholz (sonofind.com)
Special Thanks: Grivel

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Neolit e Spaßbremse, due vie nuove in Dolomiti per Simon Gietl, Vittorio Messini e Andrea Oberbacher

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Sulla parete Piz dla Dorada, sopra Colfosco in Alta Badia, Dolomiti, Simon Gietl ha aperto due nuove vie: Neolit insieme a Vittorio Messini, e Spaßbremse insieme a Andrea Oberbacher.

Roccia superlativa. È questa la promessa della guida alpina Simon Gietl che l’estate scorsa e quest’anno ad aprile ha aperto due nuove vie sulla solare parete Piz dla Dorada, sopra il piccolo paese di Colfosco, in Alta Badia.

La prima, aperta insieme a Vittorio Messini in due giorni nel luglio dell’estate scorsa, segue i primi due tiri della via Pescione ed Airona per poi deviare a sinistra e seguire l’evidente fessura ed affrontare difficoltà fino a IX-. La nuova via è stata battezzata Neolit. È protetta da Friends, nuts e chiodi normali, e la prima libera è stata effettuata da Gietl insieme ad Andrea Oberbacher il 16 aprile di quest’anno.

Pochi giorni dopo la prima libera, sulla stessa parete e sempre con Oberbacher, Gietl ha poi aperto a-vista la via Spaßbremse. Questa affronta difficoltà fino a 7+/8- e offre “arrampicata bellissima su roccia da sogno.” Anche in questo caso la via è stata aperta senza spit.

SCHEDA: Neolit, Piz dla Dorada, Dolomiti

SCHEDA: Spaßbremse, Piz dla Dorada, Dolomiti