Tragica valanga sull’Everest, numerose le vittime

Questa mattina all’alba una valanga sopra il Campo Base dell’Everest sul versante Nepalese della montagna ha travolto un numeroso gruppo di alpinisti. Almeno sei sherpa sono morti, molti i dispersi.

Inizia nel peggiore dei modi la stagione primaverile 2014 dell’Everest: questa mattina all’alba una terribile valanga ha travolto un numeroso gruppo di alpinisti. Il primo bilancio, ancora da confermare, parla di almeno sei sherpa morti, molti i dispersi.

Secondo le prime ricostruzioni, gli sherpa stavano preparando la via normale in vista dell’imminente periodo di alta stagione per le ascese alla vetta del mondo. La valanga si è abbattuta appena sotto al Campo 1 a circa 5.800 metri di quota alle 6.30 locali, le 2.45 in Italia. Numerose le squadre di soccorso già in zona.

A breve nuovi aggiornamenti di quella che si preannuncia, purtroppo, come una delle peggiori tragedie sull’Everest.

AGGIORNAMENTI
20/04/2014 – 23:25
Domenica 20 aprile 2014. Un’altra giornata difficile sull’Everest dopo la tragedia di venerdì, quando alle 6:30 circa si è staccata una porzione del seracco sopra l’Icefall causando la morte di almeno 13 Sherpa. Il bilancio potrebbe facilmente salire a 16, infatti nonostante tutti gli sforzi i 3 Sherpa dispersi non sono stati ritrovati e Channel 4 News ha riportato le parole di Lakpa Sherpa del Himalayan Rescue Operation che oggi dal Campo Base dell’Everest ha annunciato “Abbiamo interrotto le operazioni di soccorso. Non è possibile trovare i dispersi, vivi o morti.”

Proprio al Campo Base dell’Everest si sono vissuti, comprensibilmente, altri momenti intensi e molti alpinisti ed alcune intere spedizioni hanno deciso di lasciare la montagna del tutto. E’ di un’ore fa la notizia della cancellazione della spedizione più mediatica, quella di Joby Ogwyn, il cui tentativo di volare con la tuta aleare dal tetto del mondo sarebbe stato seguito live dal Discovery Channel. Non è chiaro in questo momento quanto questa scelta verrà condivisa dalle altre spedizioni – erano attesi 334 alpinisti da 41 paesi è 400 staff – ma l’idea di cancellare l’intera stagione primaverile su Everest sta prendendo sempre più piede. Lo conferma anche il giornalista inglese Ed Douglas che poche ore fa su Twitter ha scritto “Stagione dell’Everest in bilico. Ci saranno delle negozazioni molto tese nei prossimi giorni tra il governo Nepalese, gli Sherpa e le spedizioni.”

19/04/2014 – 23:02
Le operazioni di ricerca e soccorso sono continuate anche oggi per tutta la giornata: sabato 19 aprile, il primo giorno dopo il distacco del seracco, il bilancio ufficiale parla di 13 Sherpa morti. Dopo i 12 corpi recuperati ieri (e gli 8 feriti portati in ospedale a Lukla e Kathmandu), in mattinata è stato ritrovato il 13° corpo. Oltre 24 ore sono passate dalla sciagura e le autorità Nepalesi hanno escluso che i tre Sherpa dati ancora per dispersi possano essere vivi. Dipendra Paudel, del ministero del turismo nepalese, spiega “”La nostra speranza è di trovare i corpi adesso. Ma non possiamo confermare il bilancio ufficiale di 16 morti finché non li troviamo.” Nel frattempo The Times of India ha pubblicato la lista dei nomi dei 13 morti e dei 3 dispersi, mentre Alan Arnette, voce attiva e autorevole, conclude dicendo che “La maggior parte degli Sherpa ha lasciato Campo Base del Everest per portare il lutto nei loro paesi, la maggior parte ritornerà.”

19/04/2014 – 14:16
Per ricordare gli Sherpa morti su Everest il 18/04/2014 il American Alpine Club ha istituito il fondo Sherpa Support Fund per aiutare le famiglie delle vittime. Clicca qui per saperne di più.

19/04/2014 – 11:15
La nostra intervista a Simone Moro per cercare di capire meglio la tragedia

19/04/2014 – 11:10
Le ricerche e le operazioni di soccorso hanno ripreso questa mattina. Secondo Maddhu Sunan Burlakoti del ministero del turismo nepalese i soccoritori stanno lavorando a pieno regime prima che il tempo peggiori. Questa mattina è stata ricuperato il 13° corpo. Altri 3 Sherpa sono ancora dati per dispersi.

18/04/2014 – 23:10
E’ ormai notte fonda in Nepal, le operazioni di soccorso riprenderanno domani mattina. Ricordiamo che questo disastroso venerdì 18 aprile è iniziato con la terribile notizia del distacco di parte del seracco che pende sopra l’Icefall sulla spalla Ovest dell’Everest, che ha causato la morte di almeno 13 Sherpa. Altri 4 Sherpa sono attualmente dati per dispersi. Anche se il governo Nepalese non ha ancora ufficialmente rilasciato i nomi delle vittime, sul sito di Alan Arnette è pubblicato un primo elenco. Gli alpinisti bloccati sopra l’Icefall – si stima circa 100 – stanno bene e torneranno a Campo Base non appena il percorso sarà ripristinato.

18/04/2014 – 16:40
Secondo Alan Arnette, gli elicotteri hanno trasportato 12 corpi al Campo Base dell’Everest, mentre 1 corpo è stato avvistato ma non ancora ricuperato. I feriti sono stati portati a Lukla o Kathmandu.

18/04/2014 – 14:10
Sale il tragico bilancio delle vittime. Per ora sono almeno 13 i morti accertati + 3 dispersi. Una vera tragedia per l’alpinismo, per il Nepal e per i suoi Sherpa.

18/04/2014 – 11:30
Secondo la spedizione Peak Freaks circa 100 alpinisti sono bloccati appena sopra la valanga per la rottura di una delle scale indispensabili per attraversare i seracchi dell’Icefall. Si sta procedendo all’evacuazione con l’elicottero.

19/04/2014 – Valanga sull’ Everest: intervista a Simone Moro
Intervista a Simone Moro dopo la tragica valanga sull’Everest del 18 aprile 2014 ha causato la morte di almeno 13 Sherpa.

Corno di San Colombano, scialpinismo in Alta Valtellina

La Guida Alpina Eraldo Meraldi presenta lo scialpinismo al Corno di San Colombano, una classica salita invernale in Valdisotto, Alta Valtellina.

San Colombano era un monaco irlandese che con i suoi confratelli fece opera di evangelizzazione in epoca medioevale. Prima fondò diversi monasteri sulla terra francese, poi passando dall’Helvetia arrivò in Valtellina per essere in seguito accolto con benevolenza alla corte longobarda dalla regina cattolica Teodolinda. Colombo soggiornò un periodo nel castello di Domofole nei pressi di Traona in Valtellina, residenza estiva della regina, e così la sua fama arrivò anche in Alta Valtellina dove con la forza della fede i credenti edificarono a suo nome una chiesetta posta poco sopra il Forte d’Oga in località Tadè.

Durante il processo di cristianizzazione in epoca controriformistica avviato dalle istituzioni clericali, nell’anno 1665 la chiesa fu ricostruita sul colle posto a 2484m tra il Dosso Le Pone e il Pizzo Borron e fu per secoli meta di pellegrinaggio, soprattutto donne che salivano passando dalla sottostante fonte di San Carlo nota già anticamente per le sue proprietà medicamentose e di fertilità. La piccola e spoglia chiesetta che è anche nota per essere la più alta nel territorio Valtellinese, è sempre lì in balia delle intemperie un po’ solitaria anche per l’affievolirsi della devozione popolare.
Così anche il bel corno, che sovrasta quel punto come un altare, prese il nome del Santo, così come l’aspra valle che si addentra fin sotto le sue irte pendici finali.

Il Corno San Colombano è una bella piramide rocciosa che emerge lungo la cresta-dorsale che dal Dosso Le Pone (2556m) va verso sud incontrando prima il Pizzo Borron (2708m) e al termine il Monte Rinalpi (3012m); si trova all’incontro di tre creste (S,NE,NO) dominando da SO l’imponente conca di Bormio con le sue vallate circostanti. Il panorama a 360° che si ammira dalla vetta è unico ed indimenticabile come tutte le visioni che si possono avere dalla cima delle montagne; la stupenda vista “a portata di mano” sul versante settentrionale della Cima Piazzi è qualcosa di sublime, l’imponente montagna di fronte incute timore e reverenza e il maestoso ghiacciaio sospeso offre la stessa bellezza di massicci ben più noti. I vari itinerari scialpinistici sono molto belli e hanno una buona frequentazione sia per chi vuole avvicinarsi allo scialpinismo sia agli scialpinisti più esigenti; le discese assicurano sempre una neve ideale.

Non si ha notizia di chi per primo sia salito su questa cuspide, ma mi fa piacere immaginare che qualche piccolo pastore con uno spirito avventuroso, si sia spinto fin quassù lasciando incustodita la sua mandria per poter scoprire cosa si poteva veder oltre le montagne; vide altre e altre montagne oltre alla vastità dell’orizzonte, si rese conto maggiormente della grandezza e della bellezza del creato.

Quando scese aveva molta più luce negli occhi, non disse niente a casa, sarebbe stato ripreso e sgridato avendo lasciato il bestiame senza cura. Tenne per se questo immenso tesoro custodendo nella sua anima questo prezioso ricordo. Quando diventò più grande riprese la via dei monti e continuò a sognare rincorrendo le cime delle montagne mantenendo sempre la bella luce negli occhi come quando era un piccolo pastore. Scavando negli anfratti della memoria, aprì i suoi ricordi solo dopo tanti anni al piccolo nipote e sollevandolo in aria cercò di trasmettergli questa sua passione giovanile di guardare verso l’orizzonte per andare lontano. Dopo qualche giorno il bambino arrivò dal nonno con un disegno; tante e tante montagne dove sulla cima di una c’era un piccolo grande uomo immerso nell’aurora che osservava le stelle del mattino scomparire al sorgere del sole.

SCHEDA: Corno di San Colombano, Alta Valtellina

Click Here: Fjallraven Kanken Art Mini Blue Fable Backpacks

No Siesta Spain trip, il film di Gabriele Moroni e Silvio Reffo in Spagna

Tutto il film No Siesta Spain trip che documenta il viaggio arrampicata di Silvio Reffo e Gabriele Moroni in Spagna.

45 minuti. Quanti bastano per un breve sonnellino nel primo pomeriggio. Oppure per guardare No Siesta Spain trip, il film di Silvio Reffo e Gabriele Moroni che documenta il loro viaggio di due in giro per Oliana, Margalef e Siurana. Un trip tra le falesie più belle della Spagna per spingersi al proprio limite ma, soprattutto, per divertirsi arrampicando.

14/03/2014 – Gabriele Moroni e Silvio Reffo e il loro No Siesta Spain Trip
Intervista a Gabriele Moroni e Silvio Reffo dopo il loro viaggio arrampicata tra le falesie spagnole di Oliana, Margalef, Siurana.

Click Here: Cheap Golf Golf Clubs

In difesa dell’alpinismo, l’intervento di Bernard Amy al Convegno Nazionale del CAAI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento Bernard Amy del 26 ottobre 2013, in occasione del Convegno annuale del Club Alpino Accademico Italiano, durante il quale l’alpinista e scrittore francese è stato insignito della carica di Socio Onorario del CAAI.

Essere nominato membro ad honorem del CAAI è per me un onore, e al tempo stesso un piacere. So che l’ammissione a questo Club è riservata all’élite dell’alpinismo italiano, ed entrare in possesso della sua tessera è per me motivo di grande orgoglio. Chi mi conosce non sarà sorpreso che io desideri dirvi perché sento come un onore e un piacere l’essere ora parte di questo Club. Per meglio esprimermi, mi sia consentita una digressione sui problemi che l’attuale evoluzione dell’alpinismo ci pone.

In uno o due decenni, l’alpinismo si è molto evoluto sotto la spinta di vari fattori di ordine economico, tecnico e sociale. In particolare, abbiamo assistito ad una rapida diversificazione delle forme di alpinismo. Inoltre, sia nel modo classico che nei modi nuovi di avvicinarsi alla montagna, sono apparse nuove sensibilità culturali.

In questo periodo, anche la società in cui vive chi pratica attività sportive in montagna è profondamente mutata. In un ambiente con difficoltà sociali crescenti, si è sviluppata un’inquietudine che ha generato un desiderio di sicurezza, accompagnato da una ridiscussione dei comportamenti individualistici. L’ossessione per la sicurezza ha in particolare spinto all’eccesso l’applicazione crescente del “principio di precauzione”.

La constatazione di queste due evoluzioni, dell’alpinismo e della società, ci conduce oggi a dirci che bisogna ridefinire il contratto sociale che fino ad oggi, con qualche difficoltà, si era stabilito fra la società e gli alpinisti. Per questo si deve più che mai non tanto spiegare l’alpinismo quanto giustificarlo. Non si deve cercare di dire perché siamo pronti a rischiare la vita in montagna, perché “si entra” nell’alpinismo come in una religione (le motivazioni dell’alpinista sono del tutto personali, spesso richiederebbero considerazioni psicanalitiche, che poco interessano il grande pubblico e soprattutto non servono a giustificare l’alpinismo). Per fare accettare l’alpinismo in quanto pratica rischiosa, bisogna spiegare quello che la montagna ci dà, quello che ci insegna. Insomma, bisogna spiegare non perché andiamo in montagna, ma che cosa ci troviamo.

Quello che la montagna ci insegna costituisce qualche cosa che potremmo chiamare l’utilità sociale dell’alpinismo. È di ordine sia sociale che psicologico.

Fra gli apporti “utili” dello sport e della montagna si può citare:
– lo sviluppo delle capacità di impresa e di iniziativa
– l’insegnamento del coraggio di affrontare un rischio ragionato
– lo sviluppo della capacità di autonomia e di responsabilità
– l’apprendere i valori della solidarietà

A livello psicologico individuale, l’alpinismo sviluppa:
– la fiducia in se stessi
– la formazione della personalità
– il controllo dell’aggressività
– la capacità di socializzare
(Robert Paragot disse: “L’alpinismo mi ha formato. Senza la montagna sarei forse diventato una persona esecrabile”).

La montagna ha anche spesso un ruolo terapeutico, permettendoci di distaccarci dai problemi personali. Ci può dare maggior equilibrio, portandoci a ridimensionare le nostre difficoltà psicologiche (uno psichiatra alpinista chiamò il Monte Bianco “un day hospital”. E aggiunse: “meglio curarsi là in alto che nei bar!).

Click Here: true religion jean short

Tutto questo, che l’alpinismo ci dà, è in gran parte dovuto a due processi psichici caratteristici dell’alpinismo:
– l’innalzamento fisico si accompagna sempre ad un innalzamento simbolico. Il giovane che, rivolgendosi verso valle, si vede più in alto degli altri, per un momento si sente più forte, più forte di quelli che sono là sotto e più forte di quello che era lui prima di lasciare la valle.
– L’assunzione collettiva di un rischio – in montagna o al ritorno in valle, l’alpinista è raramente solo – favorisce un riconoscimento sociale che non può che rinforzare il sentimento di forza e di fiducia in sé stesso (tutti gli alpinisti ricercano questo riconoscimento sociale: chi di noi è ritornato da una salita in montagna senza cercare di raccontarla?)

Questi due processi di affermazione della personalità sono importanti a qualsiasi età. Come tutte le passioni, la passione per la montagna si caratterizza per un dubbio permanente, per un continuo porsi la questione delle giustificazioni di quanto si fa. Si tratti di un giovane principiante o di un anziano esperto, si ha sempre bisogno di sentirsi forte. Per questo il riconoscimento sociale di gruppo resta essenziale.

Voi mi avete ora dato una tessera di membro onorario: grazie per questo riconoscimento sociale!

Aggiungerò soltanto, ricevendo con piacere questa tessera, che penso anche con piacere che ne stiate preparando altre per poi darle, non tanto a vecchi come me, ma ai giovani che oggi si preparano a fare le storia dell’alpinismo e che, con le loro realizzazioni, si mostreranno degni di essere fortificati nella loro passione.

Bernard Amy a Torino, CAAI 26 Ottobre 2013

Maxim Tomilov e Maria Tolokonina vincono la Ice Climbing World Cup 2014

Lo scorso weekend i russi Maxim Tomilov e Maria Tolokonina hanno vinto l’ultima tappa della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio svoltasi a Ufa, Russia aggiudicandosi così sia il Campionato Europeo sia la Ice Climbing World Cup 2014. Argento per Angelika Rainer e Park Heeyong, bronzo ad Alexey Tomilov e Shin WoonSeon. La Coppa del Mondo Speed è stata vinta da Nikolay Kuzovlev e Maryam Filippova.

Nella tappa conclusiva della Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio, valevole anche come campionato Europeo, la vittoria è andata agli atleti di casa Maxim Tomilov e Maria Tolokonina, che si sono anche aggiudicati la vittoria in classifica generale. Angelika Rainer, quinta, ha conquistato un ottimo secondo posto in classifica generale che dopo una stagione ricca di successi anche al di fuori delle gare la ripaga degli sforzi fatti e dei duri allenamenti. “Sono veramente soddisfatta di questo podio in Coppa del Mondo” dice Angelika “dopo Helmcken Falls e le altre vie di misto non è stato facile mantenere la forma anche per le gare, ma ci sono riuscita, e per questo ringrazio gli amici che mi hanno sostenuto e la Grivel per l’ottima collaborazione.” Terzo gradino del podio alla fortissima Koreana Shin WoonSeon, nonostante il suo settimo posto in questa gara. La vittoria di tappa è andata alla russa Tolokonina, seguita delle compagne di squadra Filippova e Gallyamova.

La gara maschile è stata dominata dai due fratelli Tomilov, Maxim primo e Alexey secondo, terzo posto invece per il coreano Park Heeyong. In classifica generale Maxim si è aggiudicato la Coppa del Mondo mentre il fratello è salito al terzo posto; secondo il Koreano, che nulla ha potuto fare contro i due agguerriti avversari.

La gara Speed è stata vinta dalla russa Ekaterina Feoktistova e dal suo compagno di squadra Ivan Spitsyn; la classifica generale invece ha visto primeggiare Nikolay Kuzovlev e Maryam Filippova

Per la prima volta il circuito dell’Ice Climbing World Cup è sbarcato a Ufa, una città molto fredda circa 1500 km a est di Moska, ma qui ad aspettare gli atleti c’era una struttura particolare, non la consueta parete di Lead, ma una Boulder, completamente “total dry”, nonostante le temperature costantemente sotto zero. I tracciatori russi hanno creato quindi una serie di blocchi da risolvere, niente di esplosivo o di massimale come i Boulder che di solito si vedono in arrampicata sportiva, ma una serie di passaggi tecnici, molto particolari che si susseguivano, con vie che avevano anche più di venti prese. Purtroppo tale format non è stato ben digerito da nessuno al di fuori dei locals che invece hanno fatto piazza pulita degli avversari riempiendo totalmente i podi maschili e femminili, eccezione fatta per il terzo posto del Koreano Park.

Rendiamo merito a questi atleti russi ed alla loro federazione che investe molto in strutture e gare nazionali che sarebbero certamente apprezzati anche negli altri paesi Europei, se ci fossero. Purtroppo non è facile reperire risorse per costruire nuove strutture e creare squadre di atleti, anche giovani, basti pensare che le uniche due strutture adatte alle competizioni internazionale ed aperte anche al pubblico sono quelle di Rabenstein in Val Passiria e quella di Champagny in Francia, anche se purtroppo sono agibili solo per qualche settimana durante il periodo invernale. La speranza è che, come successo per l’arrampicata sportiva, il futuro dell’ice climbing sia più roseo e che ci siano sempre più ragazzi che iniziano questo sport alternandosi tra cascate e gare, così che un giorno qualcuno possa investire e creare sempre più strutture.

di Marco Servalli

2006 LEAD 1. Ines Papert, GER 1. Harald Berger, AUT 2. Anna Torretta, ITA 2. Simon Wandeler, SUI 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Markus Bendler, AUT SPEED 1.  Julia Oleynikova, RUS 1. Maxim Vlasov, RUS 2.  Natalia Kulikova, RUS 2. Urs Odermatt, SUI 3.  Maria Shabalina, RUS 3. Ygor Fayzullin, RUS 2007 LEAD 1. Jenny Lavarda, ITA 1. Evgeny Kryvosheytsev, UKR 2. Petra Müller, SUI 2. Markus Bendler, AUT 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED 1.  Maria Shabalina, RUS 1. Alexander Mateev, RUS 2.  Maria Murayeva, RUS 2. Nikolay Shved, RUS 3.  Maryam Filippova, RUS 3. Ygor Fayzullin, RUS 2008 LEAD 1. Jenny Lavarda, ITA 1. Simon Anthamatten, SUI 2. Petra Müller, SUI 2. Markus Bendler, AUT 3. Natalya Kulikova, RUS 3. Evgeny Kryvosheytsev, UKR SPEED 1.  Maria Tolokonina, RUS 1. Matevz Vukotic, SLO 2.  Ksenia Sdobnikova, RUS 2. Maxim Tomilov, RUS 3.  Maria Murayeva, RUS 3. Kirill Kolchegoshev, RUS 2009 LEAD 1. Maria Tolokonina, RUS 1. Markus Bendler, AUT 2. Angelika Rainer, ITA 2. Hee Yong Park, Korea 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED 1. Maria Tolokonina, RUS 1. Pavel Gulyaev, RUS 2. Maryam Filippova, RUS 2. Pavel Batushev, RUS 3. Julia Oleynikova, RUS 3. Nikolay Shved, RUS 2010 LEAD 1. Anna Gallyamova, RUS 1. Markus Bendler, AUT 2. Angelika Rainer, ITA 2. Park Hee Yong, Korea 3. Stephanie Maureau, FRA 3. Maxim Tomilov, RUS SPEED 1. Nadezda Shubina, RUS 1. Pavel Gulyaev, RUS 2. Viktoria Shabalina, RUS 2. Pavel Batushev, RUS 3. Maryam Filippova, RUS 3. Igor Fayzullin, RUS 2011 LEAD 1. Anna Gallyamova, RUS 1. Park Hee Yong, KOR 2. Lucie Hrozova, CZE 2. Maxim Tomilov, RUS 3. Seon Shin Woon, KOR 3. Markus Bendler, AUT SPEED 1. Maria Tolokonina,  RUS 1. Pavel Batushev, RUS 2. Natalya Kulikova, RUS 2. Pavel Gulyaev, RUS 3. Irina Bagaeva, RUS 3. Maxim Tomilov, RUS 2012 LEAD 1. Angelika Rainer, ITA 1. Maxim Tomilov, RUS 2. Maria Tolokonina,  RUS 2. Alexey Tomilov, RUS 3. Anna Gallyamova, RUS 3. Park Hee Yong, Korea SPEED 1. Maryam Filippova, RUS 1. Kirill Kolchegoshev, RUS 2. Maria Krasavina, RUS 2. Alexey Tomilov, RUS 3. Maria Tolokonina,  RUS 3. Pavel Batushev, RUS 2013 LEAD   1. Maria Tolokonina, RUS 1. Park Hee Yong, KOR 2. Angelika Rainer, ITA 2. Maxim Tomilov, RUS 3. Seon Shin Woon, KOR 3. Valentyn Sypavin, UKR SPEED   1. Julia Oleynikova, RUS 1. Egor Trapeznikov, RUS 2. Maryam Filippova, RUS 2. Ivan Spitsyn, RUS 3. Ekaterina Feoktistova, RUS 3. Pavel Gulyaev, RUS 2014 LEAD   1. Maria Tolokonina, RUS 1. Maxim Tomilov, RUS 2. Angelika Rainer, ITA 2. Park Hee Yong, KOR 4. Seon Shin Woon, KOR 3. Alexey Tomilov, RUS SPEED   1. Maryam Filippova, RUS 1. Nikolay Kuzovlev

Click Here: Kenzo Women’s New Collection

Cordillera Huayhuash, alpinismo in Perù per Tito Arosio, Saro Costa e Luca Vallata

A giugno tre giovani alpinisti Tito Arosio, Saro Costa e Luca Vallata si sono recati nel Cordillera Huayhuash in Perù dove hanno aperto “El malefico Sefkow, una nuova via che supera la parete ovest del Monte Quesillio (5600m). Inoltre, i tre hanno tentato anche le salite del Monte Tsacra Grande, Siula Grande e Huaraca. Il report del 27enne Tito Arosio.

Nel mese di giugno Luca Vallata (23), Saro Costa (25) ed io abbiamo effettuato un’attività alpinistica esplorativa nella Cordillera Huayhuash, in particolare nell’area sud del massiccio. La zona, la stessa del celebre libro “La morte sospesa”, presenta ancora un notevole potenziale di apertura di nuovi itinerari di arrampicata su ghiaccio e misto. Il campo base situato vicino al Lago Jurau è stato condiviso con altri due alpinisti: Carlo Cosi (26) e Davide Cassol (25).

Dopo un’iniziale fase di acclimatamento, Saro ed io abbiamo effettuato un tentativo sulla vergine parete est del Monte Tsacra Grande (5774m). Superata la goulotte, che caratterizzava la prima metà parete presentando tratti di misto (fino all’ M6) e ghiaccio (AI4+), il tentativo si è concluso purtroppo a 150m circa dalla vetta, a causa della classica neve andina che si presentava troppo inconsistente e pericolosa per superare i facili risalti poco sotto la vetta. La discesa è stata fatta velocemente in doppia lungo il percorso di salita.

Dopo qualche giorno di riposo abbiamo affrontato una nuova via assieme sulla parete ovest del Monte Quesillio (5600m). Anche in questo caso la parete era vergine. La via superata nel corso di due giorni presenta difficoltà di M5+ e AI5 A1 ED2 800m, ed è stata nominata “El malefico Sefkow”. Usciti sulla cresta, dove corre la via normale, non siamo saliti fino in vetta per la pericolosità della cresta dovuta ad enormi cornici. Siamo scesi lungo la normale sul versante ovest.

Dopo qualche giorno di brutto tempo tutti e tre siamo ripartiti alla volta del Siula Grande con l’idea di percorre la via “Noches de Juerga”, l’unica che sembrava in condizione di essere salita. Purtroppo lo stato poco ottimale della parete, sia per le elevate temperature che hanno sciolto tutta la neve sui pendii sia per i pericolosi crolli delle cornici sommitali, ha arrestato il nostro tentativo a quota 5700m circa.

Il giorno prima di smontare il campo base, abbiamo effettuato un tentativo veloce alla parete Ovest del Monte Huaraca arrestandosi a metà parete; la via si è rivelata molto più impegnativa del previsto e non avevamo né materiale sufficiente per fare arrampicata artificiale né il tempo, il giorno successivo infatti sarebbero arrivati gli arrieros con i muli per il trekking di ritorno. Anche questa, piccola ma molto verticale parete, è tuttora vergine.

Si ringrazia: Alpine Club, firstascent.co.uk, CAAI e Ferrino per il supporto a questa spedizione.
Luca Vallata ringrazia: S.C.A.R.P.A. Tito Arosio ringrazia: Grivel, Wild Climb e Grande Grimpe.
Ringraziamo inoltre Enrico Rosso, Franco “Cirk” Bertocchi per le informazioni. Ed infine un particolare grazie al nostro cuoco Pio Polo e agli arrieros Abner ed Omar.

di Tito Arosio, CAAI

Click Here: kenzo men’s new collection

Coppa Regionale Boulder Sardegna

La Coppa Regionale Boulder Sarda 2014 è stata vinta da Filippo Manca e Maria Giovanna Veracchi.

La Sardegna, nota per la sua magnifica roccia, finalmente piano piano sta emergendo anche per quanto riguarda il movimento agonistico e la grande motivazione è data dalla voglia di poter far affacciare qualche giovane alle gare regionali e nazionali. Purtroppo la nostra regione è ferma da troppo tempo per quanto riguarda l organizzazione di competizioni, e
un forte impulso in tale direzione è stato dato anche da una sempre più interessante collaborazione con Enrico Baistrocchi, il quale grazie alla sua preziosa esperienza ci aiuta e ci stimola nell affermare questo movimento.

Grazie all’impegno della asd Ortoblock di Nuoro e alla V10 boulder zone di Cagliari quest’anno si è svolta la seconda edizione della Coppa Regionale Sarda con tre tappe: Cagliari il
2 febbraio, a Nuoro il 15 febbraio ed a Sassari il 6 aprile.

Al termine della Coppa risultavano vincitori : Filippo Manca della asd Ortoblock e Maria Giovanna Veracchi anch’essa della omonima società. La soddisfazione maggiore è stata data da un positivo riscontro da parte degli atleti numerosissimi in tutte e tre le tappe, a dimostrazione che la Sardegna nonostante l’insularita’ ha voglia di crescere ed è presente.

Un grazie a tutti, in particolare ai tracciatori Enrico Baistrocchi, Jacopo Larcher, Carlo Giuliberti, e a E9, sempre pronta a sostenere le nostre iniziative. Vi aspettiamo numerosi anche per il campionato regionale in tappa unica, che si terrà ad ottobre a Cagliari e verrà tracciato da un altro amico che non ha bisogno di presentazioni, Cristian Brenna

Filippo Manca

CAGLIARI 2 febbraio 2014
Maschile

1 Filippo Manca
2 Angelo Manca
3 Massimiliano Spiga
4 Michele Onida
5 Davide Pagano
6 Giorgio Sedda

Femminile
1 Maria Giovanna Veracchi
2 Daniela Montesu
3 Francesca Berardo
4 Francesca Crobu
4 Alessandra Floris
6 Manuela Flore
6 Fiorella Serra
8 Francesca Zedda

NUORO 15 febbraio 2014
Maschile
1 Angelo Manca
2 Leonardo Casini
3 Filippo Manca
4 Michele Onida
5 Andrea Vacca
6 Giorgio Sedda

Femminile
1 Maria Giovanna Veracchi
2 Francesca Zedda
3 Alessandra Floris
4 Francesca Berardo
5 Manuela Flore
Click Here: st kilda saints guernsey 2019
6 Francesca Crobu
7 Annalisa Sanna

Sonic the Hedgehog movie has a release date

Sega’s upcoming Sonic the Hedgehog movie now has a release date: 15th November 2019.

It’s a year later than expected – a vague “2018” date was whispered when the Paramount project originally got greenlit, back in February 2016.

Click Here: gws giants guernsey 2019

But work on the film is now underway, Hollywood Reporter writes. There’s a director and writer (no one you’ll have heard of), while Deadpool director Tim Miller is executive producing.

As expected, the Sonic film will be a mix of CGI and live-action – so presumably Sonic will be running around the real world. Plot details are being kept under wraps for the time being, but here’s hoping we get a bit of Big the Cat.

Sonic nemesis Mario is getting his own Nintendo-backed movie, of course – although it looks like Sonic will go fast and beat Mario to release.

It’s a busy time for Sega’s hedgehog. After a couple of new games last year, Sonic is widely expected to be back soon in another Sonic Racing game, which is now all but official.

Un giorno lungo 50 Anni: Alberto Sciamplicotti tra film, alpinismo e… la seduzione dell’avventura

Alberto Sciamplicotti, la sua avventura, i suoi racconti e il suo nuovo film “Un giorno lungo 50 Anni” dedicato a due grandi alpinisti, Gigi Mario e Fernando di Filippo, e all’apertura di due vie nello stesso giorno sul Gran Sasso d’Italia. Di Simonetta Radice.

Alberto Sciamplicotti, fotografo scientifico professionista e appassionato sciatore, vive a Roma, non vicinissimo alla montagna. Ma le terre alte e l’avventura fanno parte di lui sin da quando, bambino, ascoltava le letture di suo padre – “Potevano essere fiabe, oppure i libri di Salgari, o ancora l’Isola del tesoro, la mia voglia di esplorare è nata così” – o si faceva affascinare dalle immagini di “Avventura”, un programma RAI degli anni 60 che riuscì a instillare “la voglia di andare più in là”, come direbbe Bonatti, a tanti ragazzi di quella generazione. L’abbiamo incontrato per parlare dell’ultimo film a cui ha lavorato, “Un Giorno Lungo 50 Anni”, dedicato all’incontro tra Gigi Mario e Fernando Di Filippo e, in particolare, all’apertura nel 1962 di due nuove vie d’arrampicata sul Gran Sasso d’Italia nello stesso giorno, vie che divennero presto banco di prova per moltissimi alpinisti, anche di generazioni successive.

“Il film racconta di due persone che hanno intrapreso due strade differenti per arrivare a un risultato simile” dice Sciamplicotti ” e cioè esprimere una maniera di andare in montagna che corrisponde al loro essere”. Maestro di sci, guida alpina e istruttore delle guide, Gigi Mario spinse perché lo sci entrasse a far parte del loro bagaglio di competenze. Gestì per un paio d’anni il rifugio Franchetti al Gran Sasso e poi partì per l’Oriente, da cui tornò nel 1973 con un nuovo nome, Engaku Taino, per aprire il casale-monastero dove tuttora vive, tra arrampicata e Thai-Chi, sulle colline di Orvieto. Fernando di Filippo si avvicinò invece alla roccia attorno ai vent’anni e la sua attività alpinistica fu sempre portata avanti come la naturale estensione della sua dilettantistica passione per la montagna, di cui non fece però professione. “Quello che mi ha colpito di questa storia è che racconta di due persone molto diverse per percorso personale ed esperienze vissute ma che, nonostante questo, sono riuscite a sviluppare un’empatia profonda con il mondo della montagna e con ciò che fanno. Con questo film, abbiamo cercato di trasmettere le emozioni di ciò che hanno vissuto a quei tempi.” E sicuramente di emozioni forti si tratta, se si pensa che i due aprirono la via “armati” solo di scarponi, pochi chiodi e corda in vita. Ma, come lo stesso Gigi Mario afferma, “Era un altro mondo allora, un modo differente di fare alpinismo e di salire le montagne.” Il film sarà proiettato in anteprima il 17 luglio a San Candido Adventure Outdoor Fest.

Alberto Sciamplicotti è anche un appassionato sciatore. Nel suo libro “I Vagabondi delle Nevi” (edito da Alpine Studio), racconta di spedizioni fatte ai quattro angoli del globo, insieme a un gruppo di amici fidati con cui si diverte a sperimentare l’antica tecnica del Telemark su rotte decisamente fuori dal comune, da Creta all’Iran, dai Pirenei al Karakorum fino alla Groenlandia, le Svalbard, l’Armenia, la Macedonia, il Kosovo, il Canada (i reportages di viaggio sul suo sito www.sciampli.it)

“Quando si parla di avventura credo che l’importante sia lo spirito con cui si affrontano i singoli eventi della vita: non è tanto l’impresa in sé o la ricerca a tutti i costi della difficoltà che conta” dice l’autore “E’ la mentalità con cui si affrontano i problemi di ogni giorno a fare la differenza e, alla fine, non servono grandi obiettivi ma la voglia di provare a raggiungere anche quelli piccoli, qualsiasi essi siano.” Non è un solitario Alberto Sciamplicotti: la dimensione conviviale di ogni viaggio ha per lui una grande importanza “Per come sono fatto, preferisco condividere le cose. Andare da solo ha senz’altro il vantaggio di potersi dedicare a una maggiore introspezione e di poter decidere tutto in prima persona, ma per quanto mi riguarda preferisco condividere le mie esperienze perché non voglio privarmi della grande possibilità di vedere il mondo con gli occhi delle persone con cui sono.” Il suo ultimo libro “La seduzione dell’avventura” (ediciclo editore) racconta alcune tra le più grandi epopee della storia moderna, che ebbero come protagonisti Ernest Shackleton e la lunga notte polare, Yuchiro Miura e il monte Everest con gli sci, Chris McCandless e l’Alaska selvaggia, Salomon August Andrée e il sogno di volare sopra il Polo Nord, solo per fare alcuni nomi.

“L’avventura, in fondo non è che un gioco a rimanere bambini” continua Alberto “per provare a coltivare quello stupore, quell’ingenuità e quella purezza che caratterizza i nostri primi anni di vita”. Il suo mito? Senza dubbio Ernest Shackleton, la cui vicenda “è l’emblema di un disastro assoluto… finito nel migliore dei modi! Quella di Shackleton fu un’avventura unica, nonché un perfetto esempio di condivisione e di leadership, vista l’importanza che ebbero sempre per lui i suoi compagni di viaggio. Sicuramente si trattò di un grande avventura con la A maiuscola: dai ghiacci, al mare, alle montagne, una storia incredibile durata due anni a cui ancora oggi tutti guardiamo.”

di
Simonetta Radice

Click Here: Geelong Cats Guernsey

Due vie d’arrampicata in Val Mora

La bellissima Val Mora, al confine tra alta Valtellina ed Engadina, e il racconto di Martino Quintavalla dell’apertura di due delle sue vie d’arrampicata: Gli svizzeri di qua e Mutandenbaum.

La prima volta che mia sorella Margerita ed io andammo in Val Mora fu nel 2006 per una gita in mountain bike con la nostra famiglia. Trovandoci in un luogo così bello non potemmo fare a meno di guardarci intorno alla ricerca di nuove pareti. Avevamo 14 e 18 anni ed eravamo presi dalla febbre dell’arrampicata in seguito a un periodo di continue scalate e qualche apertura, soprattutto sulle pareti intorno a casa nostra. Sapevamo che in quella bellissima valle a cavallo tra alta Valtellina ed Engadina era già stata aperta una via da Paolo Vitali e Sonja Brambati poco tempo prima e che, molto probabilmente, la migliore roccia era già stata individuata. Proprio per questo, fummo molto sorpresi quando vedemmo una parete di calcare grigio compattissimo, apparentemente intatta.

Qualche giorno dopo colti dall’entusiasmo partimmo in bicicletta alla volta della parete, armati di tutto punto e piegati dal peso degli zaini e, individuata una possibile traccia, cominciammo uno di quegli interminabili avvicinamenti tra indomabili pini mughi e ghiaioni scivolosi che chi ha scalato da queste parti ben conosce. Giunti alla base Margherita era stremata. Era ancora presto e l’aria era gelida. Il sole non sarebbe arrivato che nel pomeriggio sulla parete esposta a nord-ovest. Ci ristorammo alla meno peggio mangiando le solite barrette ai cereali che in quei momenti sembrano una manna dal cielo mentre a casa fanno venire la nausea e, trovato quello che sembrava un buon punto di attacco, cominciammo la salita. In tutta la giornata riuscimmo a completare solo i primi due tiri che portano fino a una bellissima cengia alberata. La parete sopra di noi si ergeva in tutta la sua bellezza: rigole, buchetti, concrezioni… non ci sembrava vero di aver scoperto “La Roccia” in un posto altrimenti rinomato per le sue pareti di calcare marcio e pericoloso! Troppo stanchi per continuare, ci calammo e tornammo a casa felici perché la parte più bella della parete era lì ad attenderci.

Dopo una settimana di pioggia tornammo e aprimmo lo zaino che avevamo lasciato nascosto in una grotta. Ridemmo del nostro stesso disgusto per la corda che, da gialla, era diventata verde e puzzava di muffa in modo insopportabile (in seguito si sarebbe seccata e irrigidita come una statica), ma dopo qualche attimo all’aria ci fu possibile riprenderla in mano e tornare a scalare. Quel giorno riuscimmo a finire la via con due tiri mozzafiato. Roccia stupenda, arrampicata in placca appoggiata e chiodatura vertiginosa. Nonché un gran freddo, soprattutto per Marghe che mi assicurava pazientemente mentre lottavo sull’ultimo tiro tirando su trapano e batterie.

Dicemmo subito a tutti gli scalatori che conoscevamo che avevamo aperto quella che forse era una delle vie più belle della zona, “è come in Wenden” dicevamo, anche se in Wenden in verità non eravamo mai stati. Battezzammo la via: “gli svizzeri di quà”: un gioco di parole che ci faceva ridere, essendo proprio in Svizzera. Spero che nessuno si offenda per questo.

Tornai a ripetere la via con vari amici e ogni volta mi stupivo per aver messo gli spit così lontani, rendendo il grado della via veramente obbligatorio. Tuttavia sul concetto del “veramente obbligatorio” abbiamo sempre fondato la nostra etica. Quando si scala bene, si è pervasi da una bellissima sensazione: i pensieri corrono liberi mentre gli occhi scrutano la roccia e il corpo si muove da solo sapendo già dove andare. Gli spit però interrompono il movimento, e la corda ci rende schiavi di una traiettoria che è sempre verticale, ma l’arrampicata è ricerca e per cercare bisogna essere liberi di muoversi. Per questo gli spit lunghi che sono sempre tanto criticati.
Naturalmente scrivere è facile e arrampicare è una cosa diversa: sono rare infatti le volte in cui scalo come vorrei; altre volte invece, soprattutto quando la protezione è lontana, il cervello, invece di svuotarsi, si riempie di paure irrazionali che impediscono di salire con naturalezza, ma questa sensazione credo che l’abbiamo sperimentata tutti, maledicendo di conseguenza l’apritore.

Dopo la bellissima estate del 2006 abbiamo scalato sempre meno: scuola, università, impegni vari… ma il richiamo di quella parete è sempre rimasto forte, tanto che nell’estate del 2012 sono tornato lassù, questa volta reduce del Wenden, in compagnia di Cristian Martinelli, per aprire un’altra via. Anche questa volta lo stile è stato minimalista: solo gli spit necessari e protezioni veloci appena si può. Ne è nata un’altra bellissima via, un po’ più facile ma altrettanto ingaggiosa: Mutandenbaum. Solo per spiegare il nome non basterebbe una pagina.

Per qualcuno queste vie di quattro o cinque tiri di corda non saranno di sicuro uno stimolo sufficiente per doversi sorbire un avvicinamento così lungo (30 min in macchina da Bormio + 1h in bici/a piedi) ma se qualcuno venisse in estate per godersi le montagne o le acque termali e volesse provare a salire lassù di sicuro non rimarrà deluso!

Click Here: COLLINGWOOD MAGPIES 2019

SCHEDA: Gli svizzeri di qua, Val Mora

SCHEDA: Mutandenbaum, Val Mora

Relazioni su:
www.paolo-sonja.net
Valtellina, Valchiavenna, Engadina: Falesie e vie sportive (Versante Sud)
UP-Climbing 2012