Kurt Albert è morto. Addio ad una leggenda dell’arrampicata

La leggenda dell’arrampicata tedesca Kurt Albert (56enne) è morto ieri sera alle 20.45 in seguito all’incidente di domenica scorsa su una via ferrata della Baviera, in Germania.

Difficile capire da dove cominciare. Forse dalla tragica fine. Kurt Albert si è spento ieri sera all’ospedale di Erlangen nella tedesca Baviera. Kurt non ce l’ha fatta a superare le gravi conseguenze della caduta dalla via ferrata “Höhenglücksteig” di domenica scorsa. I particolari dell’incidente sono ancora sconosciuti, ma in verità sembrano superflui. Ciò che conta è che uno degli arrampicatori sportivi ed alpinisti più prolifici del mondo non è più con noi.

L’importanza e l’influenza di Albert sul nostro sport non può essere sottovalutata. Nato il 28 gennaio 1954 a Norimberga, ha iniziato a scalare a 14 anni nel vicino Frankenjura e presto ha proseguito sulle vie più famose delle Alpi, come lo Sperone Walker sulle Grandes Jorasses e la parete nord dell’Eiger, nonché sulle vie delle Dolomiti che teneva in massima considerazione. Mentre con queste ascensioni alpinistiche gettava le basi per una futura carriera, il cuore del giovane Albert ardeva per esplorare e spingere i limiti fisici dell’arrampicata sportiva che, in quel momento, era nella sua fase embrionale ed era soffocata da vecchie tradizioni che sembravano in contrasto con i nuovi sogni e le energie della “giovane” arrampicata libera.

Dopo un viaggio in Sassonia, Albert comprese che l’arrampicata artificiale era un vicolo cieco e che il futuro doveva essere cercato altrove. Così, nel 1975, risolse il conflitto tra le generazioni, tra l’artificiale e il movimento della libera, con l’introduzione della filosofia “Rotpunkt”. Con la pittura di un punto rosso alla base di una via ha indicato che la linea era stata salita in libera, senza l’uso di qualsiasi aiuto artificiale, lasciando però lungo la via tutte le “vecchie” protezioni per coloro che desideravano ancora salirla nella loro forma originale. Ben presto il movimento dell’arrampicata libera divenne inarrestabile e si diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo e insieme alla “on-sight”, il termine “rotpunkt” inventato da Albert è oggi considerato la base per misurare le performance in questo sport.

Assieme ad una manciata di altri giovani arrampicatori, tra cui spiccano Wolfgang “Flipper” Fietz, Norbert Batz, Norbert Sandner e, un po’ più tardi, il suo grande amico Wolfgang Güllich, Albert ha immediatamente aperto vie sempre più difficili nel suo Frankenjura. Nel 1977 ha effettuato la prima salita di “Osterweg” (VIII-), mentre la sua “Sautanz” (IX-, 1981) e soprattutto “Magnet” (IX, 1982) sono considerate vere pietre miliari per l’arrampicata tedesca. Albert è diventato un protagonista nel suo paese, tanto che nel 1984 assieme a Wolfgang Güllich e Sepp Gschwendtner ha ricevuto il “Silberne Lorbeerblatt” – il riconoscimento più alto dello sport – da parte del governo tedesco per quanto ha fatto per l’arrampicata.

Ma l’interesse di Albert della sfera verticale non era affatto limitato alle innumerevoli falesie sparse in tutto il Frankenjura ed insieme ad alcuni dei migliori climber della Germania ha iniziato a rivolgere la sua attenzione ad esportare l’ideale della rotpunkt sulle grandi pareti del mondo. Nel 1987 si è recato sulle Tre Cime di Lavaredo dove, insieme con Gerold Sprachmann, ha realizzato la prima libera della Via degli Svizzeri sulla Cima Ovest e anche la prima libera della famosa Hasse-Brandler sulla Cima Grande.

Nel 1988 è stata la volta del Karakorum con Wolfgang Güllich e Hartmut Münchenbach dove ha effettuato la prima libera della via degli Iugoslavi (Slavko Cankar, Francek Knez, Bojan Srot, 1987) sulla Nameless Tower (6242m) nelle Torri del Trango. Per molti aspetti questa spedizione è stata un semplice “riscaldamento” per una delle creazioni più prestigiose di Albert, la vicina “Eternal Flame”, salita nell’estate del 1989 insieme a Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykora. I quattro hanno tracciato una nuova incredibile linea sulla Nameless Tower. Un percorso che avevano individuato l’anno precedente e che ha richiesto un mix eccitante di coraggio e cieca determinazione, specialmente verso la fine quando Stiegler e Sykora hanno dovuto far ritorno a casa. Mentre, con Güllich ferito, Albert ha dovuto tirare fuori tutta la sua forza per raggiungere la cima… Con un’arrampicata libera fino al 7b+ e 4 sezioni di artificiale, Eternal Flame ha aperto la strada per una nuova dimensione dell’arrampicata sportiva in Himalaya, raggiungendo un livello fino ad allora impensabile.

Ma la “premiata ditta” Albert & Güllich (i due hanno vissuto assieme per 11 anni) non si è fermata all’ Himalaya. Un anno più tardi i due, assieme a Norbert Batz, Peter Dittrich e Bernd Arnold, hanno aperto la bellissima “Riders on the Storm”, una linea diretta di 1300m sul compatto granito della parete est della Torre Centrale del Paine. La Patagonia impressionò talmente Albert che nel 1995 ci tornò, ancora una volta con Bernd Arnold, e assieme a Jorg Gerschel e Lutz Richter per aprire sul pilastro est del Fitz Roy i 44 tiri di 7c/A2 di “Royal Flush”. Di tutte le sue big wall, Albert ha sempre considerato questa via come la sua più importante.

Anche se molto a suo agio a casa davanti a una grande tazza di caffè e in compagnia dei suoi amici più cari come Jerry Moffatt, l’ex insegnante di fisica e matematica non ha mai smesso di cercare nuove sfide. E’ così che è nata l’idea di affrontare le montagne spingendo al massimo il concetto di “by fair means”. Questo “modo leale” di affrontare l’avventura in montagna si è tradotto in avvicinamenti alle vette più remote del mondo senza l’uso di portatori o mezzi a motori. Albert, all’inizio del nuovo millennio, ha sperimentato questo concetto insieme a Stefan Glowacz, Holger Heuber e Gerd Heidorn salendo i 500m di “Odissea 2000” sul granito del Polar Bear Spire sull’isola di Baffin. Più che una via, la linea è stata il culmine dell’avventura che i quattro hanno affrontato in piena autonomia, trasportando da soli tutto il materiale per più di 400km in uno dei posti più inospitali del pianeta.

Albert ha accolto questa nuova filosofia a braccia aperte e questo è immediatamente diventato il suo Leitmotiv negli anni che seguirono. Quasi nessuna stagione è passata senza una prima salita significativa su una remota parete nel mondo, e il suo totale “by fair means” è ormai diventato sinonimo della forma più pura dell’arrampicata, adottata da alcuni dei migliori alpinisti del mondo. Kurt Albert iniziò da giovane e dotatissimo climber a sperimentarla alla fine degli anni ’60 sulle montagne di casa, nel Frankenjura. 50 anni dopo, Kurt ha lasciato il suo indelebile ricordo sulle pareti più belle di tutto il mondo.

Kurt Albert – momenti importanti
1954
Nato a Norimberga, Germania
1968 ha iniziato a scalare nello Frankenjura
1973 Un viaggio all’Elbsandstein gli ha aperto gli occhi sul potenziale dell’arrampicata libera.
1975 Sviluppo della filosofia Rotpunkt. La Adolf-Rott-Ged. Weg (VI+) nello Frankenjura è stata la prima via segnata con in bollino rosso.
1977 AP: Devil’s Crack (VII) & Osterweg (VIII-), Frankenjura
1979 Solitaria Devil’s Crack (VII), Röthelfels, Frankenjura
1980 AP: Rubberneck (VIII+), Richard Wagnser Fels, Frankenjura
1981 AP: Sautanz (IX-), Frankenjura
1982 AP: Magnet (IX-), la via più difficile del Frankenjura
1986 Solitaria Fight Gravity (VIII+), Richard Wagnser Fels, Frankenjura
1987 PL: Hasse – Brandler (VIII) Cima Grande, Dolomiti
1987 PL: Swiss Route (IX-) Cima Ovest, Dolomiti
1987 Solitaria Rubberneck (VIII+), Richard Wagnser Fels, Frankenjura
1988 Solitaria Courage Fouyons (7b), Buoux, Francia
1988 PL: Yugoslav route (7a+), Nameless Tower, Karakorum
1989 AP: Eternal Flame (IX-, 3 punti arttif.), Nameless Tower, Karakorum
1990 AP: Riders on the Storm (IX), Paine Central Tower, Patagonia
1993 AP: Stairway to Heaven (IX), Roraima, Venezuela
1994 AP: Moby Dick (IX+), Ulamertorsuaq, Groenlandia
1995 AP: Royal Flush (IX), Fitz Roy, Patagonia
1995 AP: Fitzcarraldo (VIII+) Mount Harrison Smith, Cirque of Unclimbables, Kanada
1996 AP: Gelbe Mauer (IX) Tre Cime di Lavaredo, Dolomiti
1997 AP: Nordlicht (VIII+), Tupilak, Groenlandia
1998 AP: El Condorito (IX), Aguja St. Exupery, Patagonia
1999 AP: Vela y Viento (IX-), Aguja Mermoz, Patagonia
1999 AP: Hart am Wind (VIII+), Cape Renard Tower, Antarctica
2000 Ripetizione: Franco Argentine route, Fitz Roy, Patagonia
2000 AP: Odyssee 2000 (VIII+, 500m), Baffin Island, Kanada
2002 AP: su Vampire Peak (VIII+), Lotus Mountain, Kanada
2003 Ripetizione: Story About Dancing Dogs (IX/600m) Mt. Poi, Ndoto Mountains, Kenya
2006 AP: El Purgatorio (650m/IX), Acopan Tepuis, Venzuela
2007 Spedizione a Sablija, Ural, Russia
2008 AP: El Nido del TirikTirik (7b/400m) Castillo, Venezuela
2009 AP: Hotel Guácharo (7a+/550m) Roraima-Tepuis, Venezuela
AP: = apertura
PL: = prima libera

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Via dei Nonni, Pian de la Paia, Pietramurata

Via dei Nonni (VII), una nuova via di arrampicata aperta da Francesco Salvaterra e Stefano Bianchi sulla Pian de la Paia, Pietramurata, Arco.

Dopo Sogni Erotici sul Carè Alto, ecco una nuova via di Francesco Salvaterra, questa volta aperta assieme a Stefano Bianchi il 20 novembre scorso e successivamente “raddrizzata” nei primi due tiri il 27 novembre. La nuova via si chiama Via dei Nonni, è dedicata ai loro instancabili nonni e sale la Pian de la Paia a Pietramurata, Arco, con 9 tiri e difficoltà fino a VII.

Scrive Francesco Salvaterra “La via secondo noi è bella, logica e alpinistica, roccia buona o ottima su tutto il percorso. Tutte i chiodi usati sono rimasti e anche le soste sono ben attrezzate con 2 o 3 chiodi o su alberi, in totale presenti 27 chiodi normali (in parte artigianali), due cunei e un dado incastrato.”

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Klemen Becan libera Fidel Incastro 9a alla Grotta Caterina

Il climber sloveno Klemen Becan ha liberato Fidel Incastro 9a alla Grotta Caterina.

Per fuggire dal grande caldo di questi giorni il climber sloveno Klemen Becan si è recato alla Grotta Caterina alle porte di Trieste dove ha liberato due vie, Hello Ketty 8a e poi, dopo un giro di ricognizione ed un primo tentativo fallito, Fidel Incastro. Secondo Becan si potrebbe trattare di un 9a, in ogni caso "la via è molto bella e vale la pena salirla."

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Arnaud Petit racconta tutto del suo Black Bean di Ceuse

Intervista con il climber francese Arnaud Petit dopo la sua recente salita in stile trad di Black Bean 8b, Ceuse, Francia.

100, 1000, 10000. 20, 40, 60, 80 mila, e il conteggio non mostra nessun segno di rallentamento… Quando circa due settimane fa abbiamo pubblicato la notizia che il francese Arnaud Petit aveva salita la famosa via Black Bean a Ceuse non in versione sportiva, cioè con difficoltà 8b, ma in versione trad, il bel video che accompagnava il nostro report era stato visto poco più di un centinaio di volte. Nelle settimane che sono seguite si è però diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo, dimostrando che quello che Petit era riuscito a fare era sì coronare il suo personale sogno, ma anche e soprattutto catturare l’immaginazione degli altri arrampicatori.
In realtà non c’è da meravigliarsi, perché questo exploit viene da uno dei più conosciuti e rispettati climber francesi. Basti dire che Petit, partendo da vincitore della Coppa del Mondo lead 1996 si è poi dedicato alle big wall del mondo, passando per Delicatessen in Corsica, la Voie Petit sul Gran Capucin, il Salto d’Angel in Venezuela, Tough Enough in Madagascar, Walou Bass a Taghia e moltre altre ancora. Senza contare che dei suoi 40 anni, 20 li ha stati spesi sul “premiato” calcare di Ceuse… Dunque, ecco come Arnaud ci ha raccontato il suo Black Bean trad.

Arnaud, hai detto che ti sentivi in forma … quanto?
Riuscivo a salire l’ 8c in alcuni tentativi. Non è alto rispetto agli standard di oggi, ma questa era la mia forma in quel momento.

Quanto tempo hai impiegato per prepararti alla rotpunkt?
L’ho salita l’anno scorso, poi questa primavera ho trascorso 6 giorni sulla via. Ho verificato attentamente le sequenze migliori per renderla il più semplice possibile.

Quanto più difficile è stata la versione trad, fisicamente e mentalmente?
La versione trad è più difficile, soprattutto mentalmente, e due volte sono andato fino a Ceuse, ma poi ho deciso di non tentare la via, il “feeling” non mi sembrava giusto. Dal punto di vista fisico bisogna salire con il peso aggiuntivo del materiale trad, quindi non è proprio come moschettonare dei rinvii! Poi, naturalmente, devi anche posizionare l’attrezzatura, questo richiede energia, e il passaggio chiave diventa più difficile a causa del friend viola. Anche se la parte più difficile del passaggio chiave è sicura (se il friend viola dovesse uscire, fai un volo lungo 20m ma sicuro) alla fine della sezione chiave, quando traversi verso destra, non devi pensare troppo alle conseguenze di una caduta se dovesse uscire quello stesso friend viola… Poi sugli ultimi 40 metri devi rimanere totalmente concentrato.

Sei mai caduto durante i tuoi tentativi? E quanto giudichi “pericolosa” questa salita fatta in trad?
Sono volato soltanto una volta, mentre stavo cercando di mettere il piede nel buco dove c’era il friend viola sul passaggio chiave. Dire se è pericoloso o no è davvero difficile, come in alpinismo. Dipende dalla persona, e anche la stessa persona che un giorno ti dice che è super pericoloso magari il giorno dopo ti dice il contrario. Il mio problema non era essere fisicamente in grado di fare la via, ma di essere sufficientemente forte mentalmente per accettare la parte iniziale, praticamente senza corda, e fare quelle due sezioni, la traversata e poi la parte finale, dove è meglio non cadere. Non sono uno specialista di headpoints pericolose, ovvero di lavorare molto le vie prima di tentarla dal basso, e altrove ci sono sicuramente un sacco di vie molto più dure e pericolose.

Hai mai pensato di togliere gli spit, magari prima o dopo la salita?
No, non l’ho mai preso in considerazione. Black Bean, che è stata aperta da Bruno Clément, è una grande via sportiva, davvero di livello mondiale, una vera classica del suo genere. Inoltre Ceuse è una falesia sportiva, la roccia non è proprio adatta a vie trad quindi non c’è alcun motivo per togliere gli spit. Anche se avessi lavorato la via non usando gli spit ma utilizzando una corda statica dall’alto, non mi sarebbe venuta questa idea. Ho 40 anni e non voglio insegnare agli altri come le cose dovrebbero essere fatte utilizzando questo tipo di azioni, anche se capisco la gente che rimuovere gli spit in alcune falesie di fessure. Io la vedo così: sono molto molto contento che siamo in grado di salire questa via giocando due partite diverse, senza polemiche.

Puoi immaginare altre vie in stile trad a Ceuse?
A Ceuse la roccia non è così lavorata per posizionare protezioni tradizionali, quindi il tutto diventa abbastanza pauroso, con lunghi run-out. Inoltre, su calcare i friends non sono super sicuri… poi la terra è sempre vicina. Ci sono certamente una paio di linee adatte, ma in verità Black Bean è l’unica, con il suo lungo strapiombo e consente giusto la protezione sufficiente… Sono stato molto fortunato! Ecco perché per me questa salita è magica e perché è valso la pena farla nonostante gli spit. Sulla vicina Grande Face questa estate Sylvain Millet e Thibault Saubusse hanno aperto una nuova via di 4 tiri con pochi spit e un tiro chiave di 8a che sembra impressionante. Ancora non ci sono stato…

E ti vedremo fare altro trad altrove?
Trovare vere vie trad, cercando di aprirle dal basso sarebbe incredibile. Ma come ho detto, anche se mi piace molto, non sono uno specialista. Mi piace il fatto che proteggersi è una parte integrale della difficoltà e ammiro molto lo spirito inglese, ma non mi sento abbastanza forte per fare cose difficile. Ci sono un sacco di giovani, ragazzi con grande talento là fuori, e personalmente sono molto felice del mio Black Bean!

Il video finisce con una tua riflessione personale, che forse i giochi futili sono i migliori da giocare…
Questo film mostra che ci sono anche altri modi per fare le cose. E’ importante rendersi conto che il grado non è tutto. Invece, il modo in cui le cose vengono fatte può essere importante. Soprattutto per se stessi.

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Jakob Schubert e Gabriele Moroni scatenati

L’austriaco Jakob Schubert ripete Papichulo 9a+ di Chris Sharma ad Oliana e sale Aitzol 8c a-vista a Margalef. Gabriele Moroni effettua la prima ripetizione di Coup de Grace 9a di Dave Graham nel Canton Ticino, Svizzera.

Mentre i bookmakers hanno chiuso le scommesse per il colore del capello della regina al matrimonio di William e Kate (sono pazzi questi inglesi!), iniziano le nostre scommesse per chi potrebbe vincere il Campionato del Mondo di arrampicata sportiva ad Arco a luglio.

Uno che sicuramente ha delle ottime possibilità è l’austriaco Jakob Schubert, attualmente attivo in Spagna dove gli è riuscito il suo primo 9a+ lavorato (Papichulo 9a+ in Oliana) e anche il suo primo 8c a vista, Aitzol nella falesia di Margalef. Non è soltanto la sua forma sulla roccia che promette bene: mentre l’anno scorso il 21enne aveva vinto l’argento nella Coppa del Mondo Lead, pochi giorni fa a Milano era riuscito a piazzarsi secondo nella prima tappa della Coppa del Mondo Boulder dimostrando un salto di qualità negli ultimi anni ed abilità su più discipline davvero impressionante.

Un altro che impressiona sempre, speriamo anche ad Arco, è Gabriele Moroni che in Svizzera ha appena effettuato la prima ripetizione di “Coup de Grace”. Questa super via in Val Bavona nel Ticino era stata sognata e liberata dallo statunitense Dave Graham nel Novembre 2005 e Moroni ha confermato il grado di 9a ma soprattutto ha confermato la sua bellezza, dichiarando che è: “Probabilmente la più bella via di granito estrema al mondo!” A Milano il novarese aveva interpretato una gara perfetta per lungo tempo (7 top consecutivi con 6 FLASH, poi una zona al 1° tentativo prima di perdersi proprio sull’ultimo blocco di semifinale) ed è chiaro quindi che gli occhi, fra 78 giorni ai mondiali di Arco, saranno puntati anche su di lui.

> Il video di Dave Graham su Coup de Grace

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Vallone di SEA Climbing Meeting 2012

Il CAAI, il GISM la SASP e il Gruppo Rocciatori Val di Sea organizzano nei giorni 27, 28 e 29 luglio 2012, il Vallone di Sea Climbing Meeting (Val Grande di Lanzo).

“Dove è nato il nuovo mattino? In Valle dell’Orco certo, ma le radici hanno avuto origine nella Val Grande di Lanzo, in particolare con la scalata della via del Naso al Bec di Mea, da parte di Gian Piero Motti e Gian Carlo Grassi nel 1969. Gian Piero Motti aveva casa a Breno, una frazione di Chialamberto. La Val Grande di Lanzo ha visto sorgere il sole del suo “ Nuovo Mattino”, ma è anche stata teatro del suo crepuscolo culminato con le “Antiche Sere” e la sua fine prematura.”

E’ così che Andrea Giorda ci aveva scritto in occasione del Vallone di SEA Climbing Meeting dell’anno scorso. Ora è tempo per l’edizione 2012 che si terrà la settimana prossima dal 27 al 29 luglio. Un’occasione unica, aperta a tutti, per esplorare l’arrampicata in tutte le sue forme (trad, sportiva e boulder), oltre a ricordare la storia e le avventure dell’arrampicata condite con “esplorazioni” gastronomiche nei ristoranti della bellissima Val Grande di Lanzo…

PROGRAMMA 2012:
Venerdì 27 Luglio
09,00:
ritrovo in Piazza Girardi a Forno Alpi Graie (Groscavallo). Registrazione dei partecipanti e partenza per i settori di arrampicata.
19,00: Cena tutti assieme presso l’albergo Ristorante Setugrino di frazione Pialpetta di Groscavallo.
21,00: Proiezione “Alle origini dell’arrampicata metropolitana torinese” più il filmato della scalata della mole Antonelliana nel 2002, a cura dello staff della Società Arrampicata Sportiva Palavela di Torino (SASP – Torino).

Sabato 28 Luglio
09,00:
ritrovo in Piazza Girardi a Forno Alpi Graie (Groscavallo). Registrazione dei partecipanti e partenza per i settori di arrampicata.
18,00: presso l’Albergo Ristorante Cantoria: caffè letterario a cura del GISM
19,00: Cantoira: “Màrénda à la moda veij”(merenda alla moda vecchia) tutti assieme presso il Bar Progresso.
21,00: presso il Salone comunale di Cantoria: Premiazione del concorso letterario di montagna “Con il cuore, con l’ideale, con la corda“, alla presenza delle autorità. A cura della Sezione Alpinisti Testimonial del GISM e del Club Alpino Accademico Italiano. A seguire, nell’ambito del gemellaggio con la Regione Liguria, canti e musiche a cura del gruppo “Trallallero” e del gruppo locale francoprovenzale “Li Magnoutoun”. Durante il pomeriggio e la sera, in Via della Chiesa sarà presente un mercatino con prodotti tipici.
Per i festaioli ad oltranza, alle 23,00 : presso il Ristorante Cantoira: “La Ribote”, canti, cibo e vino con i musicanti.

Domenica 29 Luglio (se sopravvissuti al sabato sera)
10,00: ritrovo in Piazza Girardi a Forno Alpi Graie (Groscavallo). Registrazione dei partecipanti e partenza per i settori di arrampicata.
11,00: Presso il circuito di massi di Balma Massiet “Polvere di stelle Bouldering Parade”; blocchi di tutte le difficoltà tracciati dagli Istruttori e dagli atleti della SASP-Torino.
18,00: Cantoira: presso l’Albergo Ristorante Cantoira premiazione del bouldering Contest.
18,30: Grand Buffet tutti insieme e presentazione dell’iniziativa “Gruppo Rocciatori Val di Sea”.

Il costo di partecipazione al Meeting e al Bouldering contest è di € 10,00, ed è comprensivo della maglietta ufficiale e del materiale cartaceo informativo.

DOVE DORMIRE:
E’ possibile campeggiare nel Vallone di Sea oppure a Forno Alpi Graie, limitatamente ai giorni del meeting.
Bed&Breakfast il Cavallino – Via Lensi 45 Cantoira. +39 340.23.21.929 www.bbalcavallino.it
Agriturismo Lu Scialè – Fr.Bonzo di Groscavallo. +39 348.31.18.221 www.lusciale.it
Albergo Ristorante Setugrino – Fr.Pialpetta di Groscavallo – posto tappa GTA 0123.81016
Albergo Ristorante Savoia – Corso Savoia 1 , Forno Alpi Graie 0123.81042
Camping la Roccia – Via Torino 1, Cantoira 0123.585730

Webcam e meteo: www.fornoalpigraie.it
Per altre sistemazioni, per ogni tariffa o esigenza, contattare l’ATL 3 Canavese e Valli di Lanzo allo 0123.28020
Info meeting : 320.62.70.030 – 0123.585688

Info: www.arrampicata.com

>> 04/08/2011 Il sogno di Sea, storie e memorie di arrampicata dal Meeting del Vallone di SEA

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Antonio Boscacci, mitico climber della Val di Mello, se n’è andato per sempre

Antonio Boscacci, grande arrampicatore, alpinista, insegnante, matematico, scrittore, fotografo e uno dei più visionari inventori della nuova arrampicata in Val di Mello e non solo, è scomparso oggi, a 63 anni, dopo una lunga lotta contro la malattia.

Antonio Boscacci. ‘Bosca’. Tanto basta, per dare il via alle suggestioni, ai sogni dei molti che amano la pura arrampicata. Sono fantasie che si rincorrono a cascata. Che scatenano parole, luoghi e associazioni quasi simboliche… Val di Mello. Sublime e impossibile aderenza. Montagne e pareti interpretate come un’infinita visione. Ironia dissacratoria al servizio della bellezza… Arrampicata come puro gioco…. E poi Luna Nascente, una delle vie di arrampicata più belle di sempre… e le altre che hanno segnato la piccola grande invenzione della Val di Mello e di un’epoca. Antonio Boscacci forse era tutto questo. Ma probabilmente era molto di più. Ora che se n’è andato per sempre, ci restano appunto le suggestioni. Ci restano i suoi sogni. Ci resta la sua decennale lotta contro la malattia. Il suo coraggio. E, anche, la sua voglia di scherzare. L’ironia. Quel suo modo di vedere il “mondo a testa in giù”, per scoprirne l’altro lato nascosto. E’ per questo che vogliamo ricordarlo con questa piccola scheda redatta da Jacopo Merizzi a cui segue un’intervista (sempre del suo caro amico di scorribande non solo verticali, Jacopo). Il tutto è stato pubblicato Venerdì 24 Dicembre 2010 su www.valdimello.it, l’imperdibile antologia della Val di Mello e dell’arrampicata. C’era piaciuta allora. E non riusciamo a pensare modo migliore per ricordare Antonio Boscacci… con le sue visioni e con i suoi (e i nostri) sogni.

Antonio Boscacci visto da Jacopo Merizzi
Gravemente astemio, lettore appassionato di letteratura cinquecentesca, grande calcolatore (laurea in Matematica) e aderenzista supremo. Leggendari sono: la sua straordinaria capacità di aderire sulla roccia, l’auto-controllo, l’intuito e la rapida esecuzione di lunghezze di corda che hanno fatto la storia della Val di Mello. Fu scopritore delle scarpe da tennis From sport con la suola liscia in poliuretano espanso: l’anello di transizione tra lo scarpone e la pedula risuolata in aerlite. Fecondo apritore di vie super-ingaggiose ha scritto due guide sulla Valle: Val di Mello ed.Tamari 1980 e Mello ed. Albatros 1990
Una selezione delle sue vie: Sette Aprile, Nada por nada, Il Paradiso può attendere, Nuova dimensione, l’Albero delle pere, Oracoli d’ulisse, Luna nascente, Flauto magico, Okosa, Quadri di una esposizione…

INTERVISTA AD ANTONIO BOSCACCI di Jacopo Merizzi per www.valdimello.it (24/12/2010)

Introitus
Quando ho letto le domande che mi sono arrivate, mi sono sembrate subito terribili e ho avuto un brivido, perché mi sono visto scorrere sopra la testa la pesante lastra di pietra che chiude i nostri sogni, quando ci sdraiano nella nuda terra e ci mettono i fiori sopra (a volte perfino i fiori di plastica).
Contemporaneamente ho visto orde di vermicelli che, incuranti delle mie proteste, si concentravano allegramente a rovistare il mio corpo per ogni dove. E’ fatta, mi sono detto, questo è il testamento. Stupito da quello che mi stava accadendo, ho rivolto lo sguardo al cielo e chi ti vedo? La madonna di Medjugorie in persona, con il suo bel nastro azzurro avvolto in vita, che mi guarda e mi fa: Caro figlio mio (io già piangevo al solo sentire quelle parole), caro figlio mio prediletto, tu e i tuoi colleghi arrampicatori della val di Mello, dovete pregare, e pregare, e pregare…
Perché? Mi sono permesso di chiederle.
Perché avete troppo peccato, troppo peccato… soffermandovi soprattutto sui piaceri della carne.
Dio, quella dei piaceri della carne era una cosa risaputa, ma non sospettavo che ci tenessero d’occhio in questo modo anche dall’alto dei cieli. Bisogna assolutamente che mi dia da fare per cambiare questa incresciosa situazione.
Bravo. Rispose lei.
Li farò diventare tutti vegetariani.
Così, chiacchierando con la Madonna del più e del meno, mi è passata l’angoscia per il lastrone di pietra e per i vermicelli. A questo punto, sollevato da un soffio di vento caldo, una specie di favonio che soffiava però al contrario, mi sono sentito in grado di rispondere alle domande.

1) Descriviti brevemente per fare capire ai nostri lettori chi sei..
a) Sono alto 170 cm e ho due spallucce che un tempo erano molto belle ed eleganti, tanto che mi avevano scelto per fare l’arcangelo Gabriele in un quadro dell’annunciazione.
A dire la verità avrei voluto fare san Giuseppe, ma a quel tempo ero poco informato sullo spirito santo e la colomba.
b) Ho due piedi numero 43 che per un certo periodo ho cercato di ridurre al numero 40, fasciando appositamente il piede e calzando scarpette per geisha. Il risultato di tutto questo è stato che mi ci sono voluti due anni per far riprendere all’osso naviculare e ai tre ossi cuneiformi la primitiva posizione. In ogni caso il cuboideum è rimasto per sempre fuori posto e rattrappito.
c) Ho gli occhi azzurri.
Quando ero piccolo, a detta di mia mamma e anche di mio fratello Roberto, che però essendo molto più giovane di me, non so come faccia a fare questa affermazione, avevo gli occhi azzurri. Anche a dieci anni avevo gli occhi azzurri. Ricordo che a diciotto anni, la prima cosa che mi ha detto la mia morosa del tempo è stata, ma che begli occhi azzurri che hai! Così posso affermare con sicurezza che anche a diciotto anni avevo gli occhi azzurri. Per gli anni che vanno dal diciottesimo al trentacinquesimo, non posso dire con certezza di aver mantenuto gli occhi azzurri. E’ probabile, ma non certo. Una conferma indiretta, se volete, la potrei cercare nell’affermazione della mia amante del tempo, Assunta Concetta, che affettuosamente chiamavo Assuntina dal Lunedì al Mercoledì e Concettina negli altri giorni della settimana (la spiegazione di questa apparente stranezza richiederebbe troppo spazio e quindi la rimando a un’altra occasione). Bene, quando sdraiati sul divano di casa sua, uno splendido divano a quattro posti, largo, comodo, in pelle, con cuscini morbidi e avvolgenti, beh, quando eravamo sul divano e guadavamo fuori dalla finestra alla fine delle manovre, lei mi accarezzava la nuca e mi diceva: Teneri sono i tuoi occhi, come la rugiada che scende dal cielo e si aggrappa ai fili d’erba del prato. Concettina era una poetessa e mi commuoveva.

2) Come e quando hai iniziato ad arrampicare?
Era il 19 Luglio e non posso dimenticare quel giorno perché era l’onomastico di mio nonno che si chiamava Arsenio. Lui, mio nonno, che in quel periodo viveva con noi, il giorno prima mi aveva raccontato di una faccenda che si tramandava nella sua famiglia di padre in figlio da generazioni. Al raggiungimento del nono anno di età, il primo figlio maschio era tenuto ad arrampicarsi sulla roccia di fronte a casa. Era stato così per suo nonno Abbondio, così per suo padre Carlo, così per lui, così per mio padre, così doveva essere per me. Ecco come ho iniziato ad arrampicare. Mentre lo scrivo mi pare strano, però, a pensarci bene, non lo è affatto.
Ho conosciuto uno che ha cominciato ad arrampicare per amore, un altro per far contenta sua zia Amelia (che si vantava di aver conosciuto Emilio Comici sulla Burgasser – Stroizzer al Catinaccio), e un terzo che vi è stato praticamente costretto da uno psicanalista. Lui avrebbe voluto continuare con il bar e il fumo, ma non c’è stato niente da fare. Il contatto con l’aspra roccia l’avrebbe tolto dal rimbecillimento dentro il quale, a detta del sopraccitato psicanalista, era precipitato. Ora lo psicanalista beve e fuma e il mio amico arrampicatore ha scambiato la roccia per la mamma e passa il suo tempo a domandarsi perché è così dura con lui. Tra gli arrampicatori c’è davvero gente di ogni tipo. Sarebbero un bel soggetto per un film di Almodovar.

3) Quale era la tua disciplina d’arrampicata preferita (in cosa ti sentivi più forte?)
All’inizio mi sono dedicato quasi esclusivamente al classico. Arabesque, à la seconde, en dehors, glissade, passé, plié, piroette, prima, seconda, terza, quarta, quinta e sesta posizione. Questi sono stati i miei primi traguardi. A pensarci bene il mio sogno era un tutù a quattro veli. Dio, il lago dei cigni, il teatro Mariinskij di San Pietroburgo, le ballerine del Kirov, George Balanchine … Sentire il suono della Celesta nel Pas de deux del Principe e della Fata Confetto… Poi dal classico mi sono rivolto al moderno e ho scelto l’aderenza. Mi pareva assolutamente adatta alla danza dei neuroni che allora possedevo. La facilità del salire era dovuta semplicemente al fatto che sulla roccia davanti a me si disegnava chiaramente l’intreccio neuronale e, fatto sorprendente, bastava seguire le sinapsi e tenere in opportuna considerazione dendriti e mitocondri, per ritrovarsi a proprio agio, anche là dove altri non riuscivano ad esserlo.
Come ben si può pensare questo non è stato un modus operandi al quale sono arrivato in modo semplice e lineare. Ci sono voluti anni di ricerca, errori (come quando avevo preso come punto di riferimento il reticolo endoplasmatico liscio e mi sono dovuto ricredere dopo un volo di cinque metri) ma anche di fortunate occorrenze. La più fortunata di queste è stata l’incontro con il grande Nijinsky alle placche dell’Oasi. Non voglio qui parlarne, perché questo incontro l’ho descritto in un racconto che prima o poi spero di poter pubblicare. La svolta della mia vita di arrampicatore avvenne comunque proprio allora. Ancora adesso se ci penso, mi pare assolutamente impossibile. Ho arrampicato con Vaslav Nijinsky. Un spectacle merveilleaux.

4) Hai o avevi dei miti a cui ti sei ispirato per la tua carriera di scalatore?
a) Il mio primo mito, ma questo successe quando ero molto piccolo, è stato il serpente. Tutti quelli che si sono occupati della faccenda, hanno posto l’accento soprattutto sulla mela, la foglia di fico e cose pruriginose di quel genere. Io invece mi sono sempre chiesto come avesse fatto il serpente a prendere la mela e fin dalla prima volta che la mia mamma mi aveva detto, ma si è arrampicato sull’albero, sciocchino, beh, lo confesso, il serpente mi è diventato molto simpatico. Ho visto in lui tutta una discendenza di arrampicatori che con mele di ogni genere hanno giocato e trasgredito, alleviando il grigiume di questo monotono mondo.
Assaggia questo. Assaggia quello. Tentazioni alle quali schiere di fanciulle grassottelle e un po’ sperdute, non sono mai state in grado di resistere. Diavolo di un arrampicatore, sentenziava mia nonna con profonda sintesi, esprimendo con una sola affermazione insieme il celestiale e il diabolico, la soavità e la leggerezza dei gesti, pur mascherati talvolta, per necessità indotte, da opportune foglie di fico.
Ricordo che una volta, mentre salivo verso l’alta valle Qualido, mi venne da pensare che alcuni hanno foglie di fico anche più grandi di loro stessi. Così mi sono messo a ridere e questo mi ha fatto per un momento dimenticare che ero lì a fare il mulo per due briganti che, seduti su una roccia poco sopra, cantavano a squarciagola, me la dai, me la dai, altrimenti sono guai. Il tormentone di quell’Estate dei Pic Romans.
b) Il secondo mito al quale mi sono ispirato nell’arrampicare è stato El ingegnoso hidalgo don Quijote de la Mancha. Potrei anche spiegare il perché, ma non ne ho voglia (e poi forse sarebbe vagamente stucchevole e inutile). Dico solo che l’arrampicata è tale quando si nutre e abbuffa di stupore e fantasia. Altrimenti è come fare il bancario o la zoccola.

5) Hai partecipato alla creazione di un nuovo modo di vivere l’alpinismo da “lotta con l’alpe” a “piacere nel muoversi nella natura”, diciamo sei stato un “rivoluzionario”. Come hai vissuto le successive evoluzioni dell’arrampicata fino all’affermazione di una vera e propria disciplina sportiva ?
C’è stato un primo periodo nel quale arrampicavo in modo strano. Non riuscivo a capire il perché, ma ero consapevole della stranezza del mio muovermi sulla roccia. E’ stato Miguel de Cervantes a farmi capire che cos’era che non andava nel mio modo di arrampicare. Praticamente cercavo di salire usando solo una mano, perché l’altra era impegnata a tenere in posizione la foglia di fico. Che liberazione quella scoperta. L’arrampicata intera, l’alpinismo tutto, avrebbe dovuto cambiare quel modo di salire. Via le foglie di fico.
Molti hanno risposto a questo appello liberatorio. Così, alla fin fine, è nato il ’68 anche in val Masino e in val di Mello. Poi, come era del resto inevitabile che fosse, sono nati pudori ancora più profondi e sfacciati e le pudende sono state di nuovo ricoperte. Però questa volta, per fare le cose per bene, si sono usate foglie di plastica. Ora, il vedere che chiassosi gruppi di arrampicatori, si aggirano per la valle incuranti delle nuove foglie che portano… beh, mette un po’ di tristezza. Però è un attimo solo, perché la tristezza è subito dissipata dall’idea che non poteva andare diversamente. Il serpente l’aveva detto fin dal primo momento, vieni gonzo a mangiare la mia mela. Superiore a tutti, al di sopra di tutte le impensabili, escatologiche elucubrazione di noi poveri tapini.

6) La Valdimello… Quando ne hai sentito parlare la prima volta e perche’ hai deciso di scalare proprio li ?
7) Arrampicare in Valle e’ un esperienza unica, ma affrontare certi itinerari puo’ voler dire rischiare le piume… Qual’e’ il tuo rapporto con la paura di cadere, di farsi male, di morire?? Come sei riuscito a “contenere” questo sentimento?
Valdimellopaura è un ossimoro. Specie dopo gli errori del reticolo endoplasmatico liscio e il successivo studio di sinapsi, dendriti e mitocondri.
Nei casi più disperati, dovuti quasi sempre a qualche forma di illeggibilità della via da seguire, o per cause fisiche esterne, quali fulmini, temporali, grandinate e altre manifestazioni irrequiete del dissenso di Giove tonante oppure interne, scompensi cardiaci improvvisi, attacchi di ansia imprevisti o semplici cagarelle primaverili e settembrine, l’unico rimedio era quello di frizionare là, si là dove il tubo termina e il contenuto è trattenuto da robusti, in genere, muscoletti circolari.
Quasi sempre la frizione bastava, ma non sempre sempre.
In quest’ultimo caso poteva capitare che il secondo fosse impossibilitato a salire per via dell’odore e della patina scivolosa che andava a ricoprire la roccia (nel grande libro della val di Mello, sono registrati numerosi esempi di quanto descritto sopra).
Uno dei fatti più conosciuti di questo genere accadde a due famosi arrampicatori, dei quali indico solo l’iniziale del cognome, V. e M., ed ebbe come conseguenza l’impossibilità di arrampicare sulla parete nella quale si trovavano (spettegolando posso anche dire che era la Stella Marina) per quasi due mesi, fino all’arrivo di una settimana di grandi piogge.

8) Un aneddoto veloce che ricordi con piacere?
Ci sono di quegli aneddoti che sembrano veri e sono maledettamente falsi. Altri che potrebbero a prima vista essere scambiati per invenzioni di cervelli bacati e invece sono assolutamente veri. Quello che descrivo è inoppugnabilmente vero, come testimonia la registrazione e il video che, all’occorrenza, sono pronto a esibire.
Passeggiavo una mattina presto davanti al Gatto Rosso. Erano da poco passate le nove e da una automobile lì parcheggiata, ho sentito provenire dei lamenti di uomo e donna che inconfondibilmente stavano coitando allegramente. Io mi sono allontanato per pudore, ma non ho potuto non notare che l’auto sobbalzava come se dentro ci fosse una compagnia di danza. Urla e strepiti mi hanno raggiunto anche quando ero ormai lontano. Poi il silenzio.
Non so più nulla dell’auto, né dei suoi occupanti. Quel giorno passo a sbrigare faccende mie e mi dimentico dell’auto e dei versi.
Passano due giorni e chi ti incontro? Pilly e Jacopo che tornano carichi di corde e di ferraglie e mi comunicano che hanno aperto una nuova via, dicendomi che dovevo assolutamente andare a ripeterla, che era bellissima (con la scrittura non si riesce a riprodurre le fattezze particolari del linguaggio jacopeo, ma quelli che lo conoscono, lo immagineranno senza sforzo) e un sacco di altre cose. Poi Jacopo mi guarda e sorridendo dall’occhio sinistro, come fa di solito quando vuole dirmi qualcosa di molto, molto speciale, mi chiede se voglio sapere il nome della via. Certo che sì! Rispondo ansioso di sapere quale squisitezza fossero riusciti a partorire. Micetta bagnata.
Io, ingenuo come una capretta ai primi passi nel pascolo del buon Dio, gli rispondo. Il gattino è stato forse bagnato dal temporale? Subito però, aiutato dall’occhio sinistro del mio interlocutore, mi accorgo della mia pochezza di analisi. Mai i due compari avrebbero dedicato una via a una gattina, pur piccola e bagnata che fosse. Mica siamo del mulino bianco.
Mi hanno risposto infatti delusi. Solo allora, finalmente, ho collegato, l’auto, i versi e la micetta bagnata. Alleluja.

9) Un consiglio per i nuovi alpinisti??
Una volta un mio carissimo amico, di nome Ugo G., è andato a fare un giro dalle parti del Serengeti in Tanzania e, al suo ritorno ha consigliato a suo cugino Walter S. di fare altrettanto. Walter S. è stato sbranato da un gruppo di leonesse nei pressi di Ngorongooro e di lui non sono rimaste che le scarpe e un pezzo di camicia. Da allora i consigli me li tengo per me.

10) Cosa rimpiangi: cosa non hai visto o fatto?
Rimpiango solo una cosa. Di non essere riuscito a realizzare il mio sogno. C’ero andato vicino. Ero anche riuscito a trovare i finanziamenti necessari e i cavatori della val Masino si erano dimostrati molto sensibili al progetto. Però tutto si è infranto di fronte a una burocrazia gretta, ottusa e bigotta, che ha fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote.
Così non se n’è fatto più nulla. La mia idea, che qui sintetizzo per brevità e per non annoiare gli esigui lettori di queste righe, era quella di scolpire nella parte più alta della parete del Qualido, un pene alto 800 metri. Sarebbe stato il Grande Pene del Qualido, il più grande del mondo e avrebbe assicurato alla val di Mello, alla val Masino, alla Valtellina, frotte ininterrotte di visitatori e turisti in ogni mese dell’anno.

11) Quali sono le vie più belle della valle?
In val di Mello ci sono molte vie piacevoli, interessanti, molte vie belle e alcune anche molto belle. Però. C’è una via che supera tutte le altre in eleganza e bellezza, una via… devo dire che non esistono parole, né mai qualcuno riuscirà a trovare parole adatte per descriverla. Michelle Obama, quando l’ha percorsa nella passata Primavera, ha esclamato: I am unanimously of opinion that no route with which I am acquainted surpasses Luna Nascente in grandeur and variety of natural beauty. Poi ha voluto stringere personalmente la mano ai primi salitori: Graziano Milani, Mirella Ghezzi e il sottoscritto (ci siamo messi a piangere prima di consegnare a Michelle la targa ricordo in granito di quell’evento, che ora è utilizzata dal presidente Obama come fermacarte sulla sua scrivania alla Casa Bianca). (Mentre scrivo queste righe, la commozione ha preso di nuovo il sopravvento e calde lacrime sono scese sulla tastiera).

12) Le vie più epiche ed ingaggiose?
Non parlerei tanto di vie, quanto piuttosto di strade. La più bella delle quali è sicuramente la strada del bosco. Forse molti degli arrampicatori più giovani non sanno nulla di tutta questa faccenda e altri si sono dimenticati di questo importante evento, ma Rabagliati ha voluto dedicare questa canzone alla strada del bosco della val di Mello. Ne riporto le parole nude e crude, perché sono così dense di significato che non è necessaria alcuna spiegazione.

Vieni
C’è una strada nel bosco
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu
Vieni
È la strada del cuore
Dove nasce l’amore
Che non muore mai più
Laggiù tra gli alberi
Intrecciato coi rami in fior
C’è un nido semplice
Come sogna il tuo cuor
Vieni
C’è una strada nel bosco
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu
Un usignolo a sera sospirerà
Ed ogni fata in fronte ti bacerà
Canta il tuo cuore il bosco la ninna nanna
Mentre una culla bianca prepari tu
Laggiù tra gli alberi
Intrecciato coi rami in fior
C’è un nido semplice
Come sogna il tuo cuor
Vieni
C’è una strada nel bosco
Il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?

Vuoi conoscerlo tu?
Mai sono state scritte parole più struggenti di queste sulla val di Mello.

13) Come vedi il futuro della Valle?
Bene. Specie se il buon senso prevarrà e, al di là di tutte le pastoie burocratiche, verrà realizzato il Grande Pene del Qualido (valorizzato dalla sottostante ferrovia panoramica, che dalla val Ligoncio porterebbe con percorso pianeggiante e molto, molto speciale, alla valle di Predarossa, passando sotto il citato obelisco. Questa ferrovia potrebbe essere facilmente collegata anche con la ferrovia Retica e i suoi trenini rossi). Lascio al lettore immaginare il successo di una iniziativa di questa portata.

14) Nella truppa di giovani che si muovevano in Valle chi erano i più infami?
Non rispondo per paura di ritorsioni.

15) E domani cosa farai?
Domani ho deciso di alzarmi mezz’ora dopo. Farmi un bicchiere di succo di frutta alla pera, leggermente aromatizzato con delle briciole di cioccolato e intraprendere, finalmente, la cosa alla quale tengo di più. Estrarre grappa dall’insalata. Potrà sembrare strano, a chi non conosce a fondo i misteri degli alambicchi e delle serpentine, che da un ingrediente così apparentemente schivo, si possa estrarre tanta maestà. Ebbene, io vi assicuro, che non solo si può estrarre della grappa, ma che questa sorpassa in vigore ed elasticità, in fragranza e ricchezza di aromi, in armonioso melange di raffinati echi di terroir, qualsiasi vostra immaginazione. L’esperienza sensoriale fatta con questa grappa, che prima raccoglie in compatte legioni tutti i neuroni a disposizione e poi li invia in ogni parte del corpo, è pari solo, a detta di tutti coloro che l’hanno assaggiata, al nettare che Giove versava alle sue giovani amanti prima di concupirle e sollazzarsi con loro nel suo grande e soffice letto.

Conclusio
Ho risposto alle domande e adesso posso ritornare nel mio orto all’Agneda sotto il nocciolo ad aspettare José Arcadio Buendía. Con lui, come al solito, parleremo del paese di Macondo, della sua gente e del mondo che verrà.

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Stella Marchisio: Conception

Il video ritratto di una delle boulderiste più forti, Stella Marchisio.

Stella Marchisio è indubbiamente una delle più forti climber in Italia, ma non solo. Dopo essersi laureata Campionessa Italiana nella disciplina Speed nel 1995 e Lead nel 1997, ha dedicato più tempo ai movimenti brevi ed intensi, vincendo la Coppa Italia boulder nel 2002 e 2005, per poi fare en-plain e diventare Campionessa Italiana Boulder nel 2007. Anche nell’attività sui massi Stella si è distinta ripetendo boulder fino all’ 8A+ finché è stata costretta ad una pausa di 9 mesi. Infortunio? No, Stella stava per diventare mamma di due gemelle! E adesso che sono nate Stella sta ritornando in forma, come documenta questo video girato dal papà delle bimbe nonché uno dei migliori boulderisti di sempre, Christian Core.

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Ama Dablam, volo in parapendio per Stuart Holmes

Intervista all’alpinista britannico Stuart Holmes dopo il suo volo in parapendio dalla vetta di Ama Damblam, 6856m, Nepal.

A volte una foto dice più di mille parole. Altre volte invece stimola migliaia di domande. Questo è esattamente quello che è successo recentemente, quando abbiamo visto il video di Stuart Holmes che nel 2009 è volato dalla vetta di una delle montagne più belle del mondo, l’ Ama Dablam, in Nepal. Come c’è riuscito? Come era quel volo nell’aria sottile? E, poi, cosa ha fatto con il resto della sua attrezzatura?

Un volo di queste proporzioni certamente non nasce dal nulla e abbiamo deciso quindi di capirne di più. Abbiamo scoperto che il 45enne britannico non è soltanto un parapendista estremamente abile, ma anche fotografo, giornalista è un alpinista esperto e di lungo corso. Tra le sue varie ascensioni in tutto il mondo spiccano senz’altro la cima del Monte Everest nel 2005 e la spedizione nel 2007 assieme allo scozzese Bruce Normand (per intenderci, quello che ha vinto un Piolet d’Or nel 2010) in un territorio ancora poco esplorato nel Tibet orientale, dove i due alpinisti hanno anche effettuato la prima salita della cima PK 6.008 nella catena del Nyenchentangle Oriente. Insomma, sicuramente un personaggio che di idee se n’è fatte. Godetevi il volo e la nostra intervista.

Stuart Holmes Ama Dablam volo in parapendio

Stuart, l’ Ama Dablam è alto 6856m e certamente non è proprio una montagna facile da scalare. Prima dei dettagli del volo, ci racconti com’è andata la salita?
Prima di arrivare al Campo Base dell’ Ama Dablam a 4500m, ho trascorso tre settimane a fare trekking. Siamo partiti da Jiri e abbiamo raggiunto Namche Bazaar, poi abbiamo esplorato la Valle di Thame e abbiamo valicato il passo Renjo La a 5200m e siamo entrati nella valle di Gokyo prima di arrivare al campo base. Questo significava che ero abbastanza ben acclimatato fino ad almeno 5.000 metri. Durante la salita ero da solo quindi sono salito abbastanza in fretta. I campi erano già piazzati, erano di un’altra spedizione gestita da un amico, Tim Mosedale, senza dubbio un’autorità sulla montagna. Sono salito dal campo base in 8 ore fino allo spettacolare Campo 2, arroccato su uno sperone roccioso a circa 6000m. Lì c’è spazio soltanto per 4 o 5 tende su una piattaforme minuscola, con un enorme vuoto su entrambi i lati. Ho lasciato il campo alle 5 del mattino successivo, ho saltato il Campo 3 e sono giunto direttamente in vetta intorno alle 11.00 del mattino.

Avevi quindi poco materiale con te
Sì, sono salito molto leggero. Avevo una piccozza, i miei ramponi, del cibo e qualche capo di abbigliamento in più, ecco tutto. Così sono riuscito a volare giù in valle con tutta la mia attrezzatura tranne il mio sacco a pelo che ho lasciato al Campo 2, come dono per uno degli Sherpa che era molto felice di portarlo giù.

Una volta in vetta ti sei subito preparato per il decollo…
Il vento era piuttosto forte in cima, ma la cosa peggiore era che cambiava costantemente direzione, faceva vortice attorno allo sperone nordovest della montagna. Essendo così piccolo il parapendio era relativamente facile da controllare ma il decollo era difficile. Ho aspettato che si calmasse per un momento il vento prima del decollo che, per fortuna, è riuscito perfettamente. La forma della montagna e della zona sommitale, ragionevolmente grande, la rende una perfetta piattaforma per il decollo.

Hai usato ossigeno supplementare? E quanto faceva freddo lì su?
Non ho usato ossigeno supplementare, ero ragionevolmente ben acclimatato e sono stato molto più alto in passato, così ero fiducioso nelle mie capacità di farcela a quella altitudine. La temperatura più bassa l’abbiamo toccato quando siamo partiti dal Campo 2, era circa -15°C gradi.

L’aria a 6000m è ovviamente molto più sottile rispetto a quella a 3000m. Com’è andato il volo?
In precedenza avevo volato con questo parapendio soltanto una volta, era un nuovo modello, uno Yak Gin 16.5. Ero nervoso soprattutto per la velocità di atterraggio al campo base siccome non sono abituato ad atterrare a 4500m. Dopo il goffo decollo il volo è stato fantastico, liscio, bello e molto spettacolare. La mia discesa di 2350m è durata esattamente 10 minuti. Il mio atterraggio è stato una cosa grande, sembrava stessi viaggiando molto velocemente in prossimità del suolo ma il parapendio è stato progettato per trasformare la velocità in spinta verso l’alto, e l’atterraggio mi è sembrato come il salto da una sedia!

In che cosa si differenzia dai parapendii solitamente usati nelle Alpi?
Questo tipo di parapendio, lo Speedwing, è una versione più piccola del parapendio che si vede volare in giro per le montagne delle Alpi. Sono progettati per essere leggeri, il mio pesava 2.3 kg compresi tutti i cordini e sono facilmente trasportabili. Questi parapendii sono utilizzati per salire in cima e scendere in valle, ma possono anche essere utilizzate in condizioni di vento più forte. Non sarei stato in grado di volare dall’ Ama Dablam con un parapendio normale. C’è stato un team francese al campo base con me nel 2009 che aveva intenzione di volare dalla vetta con il parapendio ma non ci sono riusciti a causa del forte vento.

Questo era il tuo primo volo in Himalaya?
No, avevo già volato altre due volte in precedenza. Nel 2005 ho portato un parapendio con me all’Everest, e nel 1991 ho volato da circa 5000m. Ho volato tre volte dalla cima dell’Aiguille du Midi nel massiccio del Monte Bianco. Questo è un ottimo allenamento per i voli impegnativi in montagna: hai soltanto una possibilità di farlo bene. E’ qualcosa che mi piacerebbe fare di più – mi piace salire in stile leggero e veloce, e avere la possibilità di scendere velocemente e facilmente: è una cosa davvero interessante.

Hai viaggiato molto. Alla fine, perché ti sei deciso per l’Ama Dablam?
Ho camminato e arrampicato molte volte nel Khumbu, nella regione dell’Everest in Nepal, e l’Ama Dablam è la montagna più sorprendente di tutti. Un amico (Tim Mosedale, con il quale ho scalato l’Everest dal versante tibetano nel 2005) organizza trekking all’Ama Dablam ogni anno, quindi dal punto di vista della logistica è stato facile da organizzare. Si tratta di una montagna impegnativa, abbastanza tecnica, sicuramente non facile, con una esposizione fantastica e viste mozzafiato tutt’intorno. Ho portato un parapendio all’Everest nel 2005 con la speranza di volare dalla cima, ma i venti sono sempre stati molto forti per cui non mi era possibile. Ho comunque alcune idee per il futuro.

Che tu sappia, l’Ama Dablam ha già la sua storia di voli dalla cima?
Ho cercato in internet e non ho trovato voli precedenti dalla cima del Ama Dablam. Gli sherpa locali però mi hanno parlato di un pilota francese che forse ha effettuato una discesa in parapendio qualche anno fa, quindi la mia è probabilmente stata la seconda, ma è certamente stata la prima con uno Speedwing.

Ultima domanda che sembra uno sciogli lingua: cosa consiglieresti ad un apprendista parapendista?
Per me, il volo dall’ Ama Dablam è arrivato dopo oltre 20 anni di esperienza di parapendio e 25 anni di alpinismo. Sono stato abbastanza a mio agio durante tutte le fasi della spedizione ed ero fiducioso delle mie capacità di giudicare le condizioni. Ero ugualmente preparato, e avevo le sufficienti riserve di forza ed energia, nel caso in cui avessi dovuto scendere in maniera normale. Il consiglio ovvio, a chiunque voglia volare da una montagna, è semplicemente quello di accumulare più esperienze di volo e di arrampicata possibili nelle Alpi.
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Infinite Jest, nuova via per Matteo Della Bordella e Fabio Palma nel Wenden

Il 3 settembre Matteo Della Bordella, insieme a Fabio Palma, ha concluso con la libera in giornata “Infinite Jest” (640m 8a+/8b max, 7b obbl.), la nuova via aperta dagli stessi due Ragni di Lecco sulla parete del Mahren nel Wenden.

Si chiama Infinite Jest. Corre sulla grande parete del Mahren, proprio nel cuore del (“santo”) Wenden. Conta 17 lunghezze e una difficoltà massima proposta tra l’ 8a+ e l’8b con un obbligatorio di 7b. Ad aprirla sono stati Matteo Della Bordella e Fabio Palma ed è sicuramente un gran viaggio d’arrampicata. Un viaggio per nulla facile visto che Matteo Della Bordella, commentando la sua libera in giornata, ha scritto che “questa volta è stata dura”…

Ma facciamo un passo indietro. L’idea a Palma e Della Bordella è venuta sul campo. O meglio qualcosa dev’essere scattato, magari inconsciamente, mentre stavano aprendo Coelophysis, la via (di 650m 8a max, 7b obbl.) che i due Ragni di Lecco (insieme ad Adriano Selva) hanno tracciato proprio a sinistra di Infinite Jest. Non a caso i “lavori” su Infinite Jest sono iniziati proprio nel 2008, anno in cui Matteo Della Bordella con la rotpunkt del quarto tiro ha concluso la libera di tutte le lunghezze di Coelophysis.

In tutto il progetto “Infinite” ha richiesto 14 giorni in parete (di cui 6 per la libera) diluiti in quasi tre anni. In cui bisogna contare anche un mese di stop forzato, per un volo che ha causato a Matteo un infortunio alla caviglia, ma anche 10 viaggi a vuoto per la pioggia o perché la parete era “impraticabile”. D’altra parte si sa che il Wenden non gode di un meteo proprio stabile. Ma anche che sia Coelophysis sia la nuova linea si presentano tra le vie più lunghe del Wenden, se non come le più lunghe in assoluto – Coelophysis ha 5 lunghezze in più di “Infinite”.

Sul versante delle difficoltà, come spiega Della Bordella: “La via è complessivamente un po’ più impegnativa di Coelophysis, la difficoltà obbligata non è particolarmente alta, sicuramente Non è un paese per vecchi (ndr: 430m, 7c+ max, 7b+/7c obbl. via aperta da Della Bordella con Auguadri a Linescio ndr) o Il mito della caverna (in Val Bavona ndr) hanno dei passaggi obbligati più difficili; qui però hai tanti tiri di 7a-b che non sono proprio da sottovalutare, sono tiri che a causa dello stile di scalata molto tecnico e delle protezioni distanziate non ti permettono di arrampicare veloce, per questo, anche se sono solo 17 tiri farla tutta in giornata è stata dura. Alcuni tratti, bisogna dirlo, sono anche un po’ pericolosi.”

Ecco lo stile di chiodatura che va “lungo” (con tratti “anche un po’ pericolosi” per riprendere quello che ha scritto Della Bordella) sembra essere il focus di questa nuova via. Come sottolinea anche Fabio Palma: “Infinite Jest è di gran lunga la regina delle WHLF da me incontrate”. Dove WHLF è una variante dell’acronimo HLF, Hard Long Free, con l’aggiunta di Wild, selvaggio. Insomma, Infinite Jest viene proposta come una via dura e lunga, alias che può impegnare più di una giornata (in questo caso c’è da dire che ci sono buoni posti da bivacco) ma soprattutto che ti costringe a salire in libera per arrivare in cima. Un bel “pacchetto” quindi, che aspetta ripetitori e conferme. Una cosa è sicura: la via e la roccia sono molto belle, basta guardare le foto per capirlo. Un’unica avvertenza: attenzione a quegli Infiniti Scherzi del romanzo di David Foster Wallace a cui si rifà il nome della via…

Infinite Jest – tiro per tiro
L1 40m 6a, L2 45m 7b, L3 40m 7b, L4 35m 7a, L5 35m 8a+/8b, L6 20m 4a, L7 50m 7a, L8 35m 7b, L9 25m 4a, L10 25m 6b+, L11 35m 7a+, L12 30m 5a, L13 25m 6c, L14 10m 6c, L15 20m 8a/8a+, L16 30m 6c+, L17 40m 7a+

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